“L’impatto economico della pandemia ha paralizzato l’economia italiana e ha colpito soprattutto il Sud. Ma oggi l’Italia ha a disposizione una dotazione finanziaria mai vista prima, che ammonta a circa 400 miliardi nei prossimi 5 anni, tra Pnrr, Fsc e nuova programmazione dei fondi europei. Se non cavalchiamo ora la possibilità di generare crescita economica e sviluppo, non ci saranno più tante occasioni per farlo. Proviamo a non ripetere semplicemente quello che facevamo prima, ma a lavorare su modelli territoriali di sviluppo integrati, rappresentativi, nel caso specifico, dell’intero territorio meridionale e del recupero del gap economico e sociale come ci chiede anche l’Europa.



Proviamo a contrastare le disuguaglianze indicate ultimamente dal presidente Bonomi: generazionali, territoriali, di genere e di competenze. Se il Sud non cresce, non cresce l’Italia”. Ne è convinto Vito Grassi, vicepresidente nazionale di Confindustria e presidente del Comitato delle regioni, che fino a pochi giorni fa ricopriva anche il ruolo di presidente regionale di Confindustria Campania, responsabilità passata ora a Gianluigi Traettino, ex presidente di Confindustria Caserta.



Presidente Grassi, possiamo ragionare del futuro, di come sarà la ripresa economica, soprattutto al Sud?

L’emergenza sanitaria ci lascerà in eredità la transizione verso un nuovo modello produttivo e un nuovo modo di fare industria e creare sviluppo, che ci porterà verso assetti certamente diversi dal passato. Con buona pace di tutti, dopo la tempesta non sarà più possibile tornare ai vecchi equilibri economici e sociali. Non ci sarà nessun “meccanismo” in grado di far recuperare in modo automatico i fatturati non realizzati né i mercati perduti.

Ma siamo certi che sarebbe la cosa migliore?



Abbiamo già dimenticato le difficoltà e i dati macroeconomici di fine 2019. quando il Sud era ancora 2 punti sotto i livelli a cui si era precipitati con la crisi del 2008, in una fase di stagnazione perpetua e con crescita a ritmi bassissimi rispetto al resto del paese e dell’Europa. Credo che non dobbiamo dimenticare da dove siamo partiti.

E oggi?

L’impatto economico della pandemia ha generato un segno negativo che coinvolge tutti i settori produttivi. Anche in Campania: 21mila aziende chiuse dopo un anno tra crisi e lockdown e 35 miliardi di euro di fatturato, dei quali 16 miliardi nell’area metropolitana di Napoli, bruciati negli ultimi 12 mesi. Al dramma delle aziende si aggiunge quello dei lavoratori: in Campania ci sono 2,6 milioni le persone che non lavorano, non hanno reddito e non lo stanno cercando, tra cui 380mila disoccupati che hanno perso il lavoro e sono alla ricerca di un impiego. La più bassa occupabilità femminile insieme al resto del Meridione.

Qualche segnale positivo?

Nel 2020 la pandemia ha paralizzato l’economia italiana, facendo calare l’export del 12,5% su quasi tutto il territorio nazionale, ma con una sorpresa in Campania. Infatti, tra gennaio e settembre sono cresciute le vendite oltre confine delle conserve napoletane e salernitane rispettivamente del 22,4% e dell’11,1% rispetto allo stesso periodo del 2019, nonché dei prodotti da forno delle province di Napoli e Avellino: rispettivamente +38,7% e +7,6%. L’export si conferma una possibile chiave per la ripresa e lo sviluppo dell’economia della Campania e del Mezzogiorno.

Tutti hanno fatto il proprio dovere?

Partiamo da noi imprenditori, dal nostro senso di responsabilità, dal nostro coraggio e dalla nostra predisposizione al rischio, dal riuscire a cavalcare quotidianamente l’innovazione e i cambiamenti, per riposizionarsi in continuo sui mercati. Noi sappiamo bene che dobbiamo fare sempre la nostra parte, e anche questa volta non siamo venuti meno. La nostra capacità di resistenza – o se si preferisce “resilienza” che va tanto di moda – fa sì che oggi siamo qui a progettare e immaginare un futuro che possa farci trovare più preparati a nuove emergenze, siamo qui consapevoli più di prima, che la coesione e un rapporto in rete sempre più efficace con le istituzioni sia un asset assolutamente da implementare. Il futuro va costruito insieme, un partenariato pubblico-privato è indispensabile per valorizzare le competenze e il merito delle classi dirigenti del Paese. L’impresa non è mai il problema, quasi sempre l’unica soluzione!

Eppure ci sono state molte polemiche tra Confindustria e il ministro Orlando in merito alla decisione di sospendere il blocco dei licenziamenti…

Non c’è alcuna volontà di fare polemica. Noi siamo aperti e come sempre disponibili al confronto su tutti i nodi ancora aperti del funzionamento del mercato del lavoro. Avevamo detto in tempi non sospetti che era urgente riformare gli strumenti relativi alla cassa integrazione e alle forme di protezione per chi perde il lavoro, così come occorre fare tutti insieme uno scatto per riorganizzare davvero le politiche attive a cominciare dagli strumenti di formazione e di riqualificazione professionale. La nostra proposta sugli ammortizzatori sociali è sul tavolo del governo da quasi un anno.

Quali programmi per il 2021?

Il 2021, per la nostra organizzazione regionale, si è aperto con lo sguardo rivolto al futuro: a fine gennaio, con un webinar dedicato alle opportunità di collaborazione industriale in Tunisia, siamo tornati a riannodare i fili dei “Giorni del Sud”, progetto inaugurato nel 2019 in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà e l’Intergruppo parlamentare, nella convinzione che la Campania e il Sud hanno di fronte un’occasione unica per la ricostruzione e il rilancio della nostra economia: prospettiva che il Mediterraneo torni a recitare un ruolo centrale in un mondo post-pandemico, favorito dall’inevitabile crisi del circuito di scambi globale.

Da dove si riparte allora, una volta che ci saremo lasciati l’emergenza definitivamente alle spalle?

Innanzitutto, la vera differenza è che oggi l’Italia ha a disposizione una dotazione finanziaria mai vista prima, che ammonta a circa 400 miliardi nei prossimi 5 anni, tra Pnrr, Fsc e nuova programmazione dei fondi europei. Se non cavalchiamo ora la possibilità di generare crescita economica e sviluppo, non ci saranno più tante occasioni per farlo. Proviamo a non ripetere semplicemente quello che facevamo prima, ma a lavorare su modelli territoriali di sviluppo integrati, rappresentativi, nel caso specifico, dell’intero territorio meridionale e del recupero del gap economico e sociale come ci chiede anche l’Europa. Proviamo a contrastare le disuguaglianze indicate ultimamente dal presidente Bonomi: generazionali, territoriali, di genere e di competenze.

Proviamo a partire dai giovani?

Qui veniamo al vero obiettivo da conseguire nel minor tempo possibile: i giovani al centro. Il nostro vero patrimonio umano, la nostra espressione più qualificata di una generazione che può affermare la propria leadership in un momento di grande trasformazione come questo, dove i nostri valori di natalità giovanile possono essere finalmente un valore aggiunto, dove gli uomini e soprattutto le donne possono invertire la rotta che li vede tra i meno occupati della nazione.

Modelli da seguire?

Il modello oggi più comunicato è quello di San Giovanni a Teduccio, dove in pochi anni si è dato vita a un polo innovativo di rilevanza mondiale. Certo una nicchia come l’alta formazione, ma risalta come un driver unico. Un driver che ha consentito di rivitalizzare un intero territorio, trasformando l’alta formazione in un formidabile acceleratore di riqualificazione urbana, che ha avuto il supporto e la convinta azione di sostegno della Regione e ha attratto i grandi player internazionali del mercato come Apple, per citarne solo una, e che vedrà la replica negli Hub dell’innovazione previsti nella legge di Stabilità. La Campania è già la terza regione in Italia per numero di startup innovative e per modelli di Open Innovation, già coniuga un modello per tanti giovani di provenienze diverse, che dall’Italia e dall’estero vengono a formarsi sulle nuove frontiere della tecnologia e della conoscenza, per diventarne protagonisti, dando impulso a nuove imprese e creando sviluppo e lavoro.

Anche l’istruzione gioca un ruolo importante?

Siamo soddisfatti dello spazio che il Pnrr riserva all’istruzione in termini di adeguamento degli spazi e di upgrade – finalmente, aggiungerei – alla qualità dei laboratori tecnologici e agli Its, convinti come siamo che sia una brillante soluzione intermedia per il placement di figure professionali rispondenti alla domanda diretta del mondo produttivo, oggi pericolosamente e spesso disattesa.

Ma il vero obiettivo è l’economia del mare e il Mediterraneo come orizzonte di sviluppo?

Per l’economia del mare il Pnrr rappresenta la vera occasione per compiere un primo grande passo verso una politica organica nazionale. Una politica che finora è mancata, nonostante il peso economico del settore allargato – 34,3 miliardi di valore aggiunto e 185mila unità lavorative dirette nell’ultimo Rapporto del mare del 2019 – e l’idea più volte riproposta di fare dell’Italia una piattaforma logistica del Mediterraneo.

Avete avanzato proposte concrete?

Il Piano strategico nazionale di Confindustria – che ha prodotto una prima proposta in occasione del Pnrr e sarà completato entro il 2021 – afferma l’importanza cruciale dell’economia del mare e mette in fila politiche e misure necessarie per dare concretezza al disegno. In questo piano un’attenzione territoriale specifica è riservata al Mezzogiorno, nella convinzione che qualsiasi prospettiva di ripartenza per l’Italia passa attraverso la risoluzione dello storico divario fra il Sud e il resto del Paese e, sempre più, tra le diverse aree del Sud. Un “Southern Range” logistico euromediterraneo competitivo, green, sostenibile e socialmente inclusivo, una messa in rete del Meridione, partendo dall’integrazione delle Zes e dei relativi porti che, in questa chiave, possono diventare potenziali nodi territoriali di sviluppo per le numerose aree interne di pregio esistenti.

Quale il messaggio alle aree più forti del paese?

Se il Sud non cresce, non cresce l’Italia e l’Europa ha a cuore la crescita italiana e la riduzione degli enormi divari territoriali presenti al suo interno. Investire nelle aree meridionali e nella risorsa mare è fondamentale per un progetto unitario di ripresa del Paese. Ed è per questa ragione che nel pieno di una delle crisi mondiali più drammatiche, la peggiore dai tempi della Grande Depressione, le otto Confindustrie regionali del Sud si sono messe insieme per la prima volta, decise a integrare i sistemi portuali, tra di loro e con il Centro-Nord, e a ragionare in una visione di sistema paese e di coesione nazionale.

Con quale obiettivo?

Un sistema di logistica integrato a pieno supporto delle nostre realtà manifatturiere e della rapidità di collegamento con i grandi corridoi Intereuropei già progettati. Un modello economico di sviluppo per mettere in collegamento le città del Sud, con un orizzonte più ampio e coeso, ben oltre le singole opere che attendiamo da anni. Un messaggio coerente con la prospettiva di una chiara strategia nazionale per l’industria italiana, di una vision e di scelte nette in prospettiva, che il “Coraggio del Futuro”, appunto, rivendica con molta chiarezza.

(Antonio Napoli)