Cari fanciulli, care fanciulle e amatissimi aficionados dei miei deliri.
Una delle cose che io adoro di più di mia zia è la sua tendenza a tortificare per qualsiasi motivazione e ricorrenza, dall’anniversario del primo dentino di mio fratello (anni 30 e mesi 7, ad oggi) al genetliaco di uno dei vari nipoti passando per “oggi sono 3 anni che Primogenito va all’asilo!”. Il che, con tutti i giorni che ha un anno solare, la porta a riposare giusto 15 giorni variamente sparsi, con conseguenti overdose familiari di zuccheri semplici, ma vabbè. Poteva andarci peggio. Poteva essere una ZiaTricotante invece che una ZiaPasticcera, e i tricot non puoi mica portarli in ufficio per farli sbranare ai colleghi famelici e nemmeno riciclarli a Natale. I miei felini, Severia in testa, la odiano ferocemente perché di loro non si è mai ricordata e la cosa li irrita paurosamente, ça va sans dire: nessuno ignora un felino. Nessuno.
A ogni modo, qualche tempo fa si è presentata da noi con la crostata di ordinanza, cosa che ci ha fatto immediatamente capire che il destinatario del dolce era Consorte (sì perché zia ha la caratteristica di preparare i dolci seguendo, graziaddddddio, i gusti del destinatario e non i suoi: Consorte adora la crostata, la sottoscritta la torta al cioccolatomorbidosachetisisquagliainbocca, Primogenito quella “che si sbriciola”, Cadetto… oh, well, lui basta che sia commestibile e non è razzista). Ci restava oscuro il motivo: “Ciao ZiaPasticcera… guarda che il compleanno di Consorte è stato ad agosto, il suo primo dentino non lo abbiamo mai saputo e anche l’anniversario del diploma è passato…”
Lei ci guarda scandalizzata: “Ma ragazzi! È il suo onomastico!”
Vero, Zia. Grazie. Anche perché mi hai dato l’idea per il pezzo di questa settimana: un viaggio nei film onomastici.
Cominciamo con le certezze del mondo. Del resto, è la prima cosa che si chiede a uno che sembra un po’ spaesato, no?, “Come ti chiami?”. Potrebbe rispondere che “My name is Tanino”, dimostrando anche una certa confusione di lingue e di luoghi o una certa tendenza alla crudeltà dei suoi anglofoni genitori. Anyway. All’inizio del film, quando il protagonista vede per la prima volta Sally, Tanino si tuffa in mare per aiutarla a cercare l’anello che lei ha perso, si immerge in apnea a una profondità di circa tre metri più o meno, ma quando riemerge miracolosamente l’acqua gli arriva sì e no all’ombelico.
C’è sempre poi il simpaticone che risponde, con aria fyka&saputa, che “Il mio nome è Nessuno”. Se provate a chiedergli da dove deriva ‘sta frase, sottolineando che no, non viene dal western che a breve blooperiamo, vedrete il suo fyko&saputo sorriso sgretolarsi come un cracker in borsa. Quando Nessuno incontra Jack Boregard al cimitero, Jack gli spara 4 volte nel cappello. Quando spara al cappello mentre sta per terra si vede chiaramente che il buco è molto largo. Poi Nessuno se lo rimette in testa e si allontana. Jack gli spara un’altra volta, ma fa un altro buco più a destra. Poi quando Nessuno si rimette il cappello in testa, si vedono chiaramente i 2 buchi, ma sono ambedue piccoli!
Non posso evitare, poi, di blooperare “Il suo nome è Qualcuno”, non foss’altro per sottolineare che lo spirito, i cineasti, ce l’hanno, anche se non sembra. E non mi riferisco a quello in bottiglia. Un sudista a cavallo scende per un pendio piuttosto ripido, che finisce in un fiumiciattolo. Soggettiva dal punto di vista dell’uomo: in primissimo piano la punta delle orecchie del cavallo, e a 20/30 metri il piccolo corso d’acqua, che sta una decina di metri più in basso. Nuova inquadratura, uomo a cavallo in campo medio: l’animale fa esattamente quattro passi e finisce in acqua con gli anteriori. Un 4×4 con la stessa velocità di un missile, insomma.
Alcuni, però, il nome non ce l’hanno. Eh, che volete farci. Capita.
Sono “I senza nome”, film con Alain Delon e Gian Maria Volontè, fra gli altri. C’è una sequenza, nella seconda parte del film, in cui Alain Delon guida lungo una via cittadina. L’inquadratura è frontale e si capisce chiaramente che quello dietro di lui è un fondale perché i movimenti del volante non corrispondono minimamente a quelli dell’auto. O forse aveva usufruito in abbondanza dello spirito dei cineasti di cui sopra, tanto era in studio…
Il nome, poi, è una cosa così… uhm… personale che a volte non si vuole condividerla col mondo, giusto? E così, uno viaggia e si presenta “Sotto falso nome”. I due protagonisti, Daniel e Milla, vengono ripresi, mentre sono lungo il bordo di una piscina, da dietro una vetrata; in quest’ultima si vede riflesso un cameraman.
Se si è spie di livello, non come il nostro 00James che si presenta sempre come BondJamesBond accompagnato dalla sventola di turno o dal martini shakerato, non mescolato per l’amor del cielo!, potreste aver bisogno di un nome in codice. Eccovi, quindi, “Nome in codice: Broken Arrow”. Durante la scena alla miniera, Christian Slater accidentalmente innesca una bomba. Il tempo che rimane allo scoppio è di 26 minuti, più tardi di 22. Quando John Travolta trova la bomba per disinnescarla il tempo rimasto è ancora di 26 minuti. Non vale, ha chiesto il bonus!
Se siete donne, non preoccupatevi. C’è sempre “Nome in codice: Nina”. Alla nostra eroina viene data “in dotazione” una pistola da tiro di grosso calibro (32 S&W Long WC), probabilmente una Hammerly svizzera o un Walther. Ebbene, tali pistole sono costruite come orologi, con tolleranze ridottissime e hanno solo 5 colpi: perfette per il poligono ma assolutamente inadatte in un qualsiasi contesto offensivo e/o difensivo. Nessun professionista, tantomeno un’agenzia come quella per cui lavora Nina, la utilizzerebbe mai per quel tipo di “lavoro”. Chiedere a Nikita per conferma.
In epoca di Internet, poi, non possiamo dimenticare anche i nick. Ovvero, “Nickname: Enigmista”. Io ho visto questo film solo perché ci recitava Bon Jovi, il mio cantante preferito. Nel suo caso, “recitare” è una parola un po’ forte, ma non mi è dispiaciuto il twist della trama. Tutto sommato, un film godibile. Owen ha appena salvato Dodger dalla piscina. Lei ha i capelli tutti arruffosi e scomposti, ma quando si volta e prende l’asciugamano ecco che i capelli sono perfettamente a posto, leccati e precisi dietro le orecchie. Senza che lei abbia fatto il minimo gesto per rimetterli a posto.
“Un pesce di nome Wanda” entra anche lui di diritto nel nostro pezzo di oggi: quando l’avvocato viene “appeso” a testa in giù fuori dalla finestra da Otto, la sua cravatta rimane al suo posto, perfettamente aderente alla camicia, sfuggendo alla forza di gravità.
Bene. Anche per oggi abbiamo portato a termine il nostro compito.
Qualcuno vuole una fetta di crostata, sì?