Vi ho lasciati settimana scorsa che stava piovendo come Dio la mandava e indovinate un po’? Il tempo non è cambiato.
Certo, oggi c’è uno sputo di solicello, ma non esageriamo e non diciamolo troppo forte, che potrebbe spaventarsi e fuggire via a nascondersi dietro l’ennesima perturbazione proveniente dall’Atlantico.
Oh, avete notato come tutti diventano degli esperti di meteorologia, in situazioni come queste? Discutono di “perturbazioni dall’Atlantico” e di “aree di bassa pressione” con la stessa competenza con la quale discutevano di spending review (sbagliandone clamorosamente la pronuncia, ça va sans dire…), dei regolamenti della Ue o dell’opportunità di aver dato o meno il rigore a Cippalippa nella partita della Verdolese contro il Casalpusterlengo: ovvero, il totale vuoto pneumatico. Oddio, a onor del vero qualcuno che mi sa dare una spiegazione logica per il rigore forse lo trovo.
Scorata, anzi scoratissima, tento di tirarmi su andando avanti con la seconda parte dei film del brrrrrrrrrrrrrrrrivido: andiamo a chiudere gli Eighties e via, nei Nineties dei film del King of Horror!
Eravamo rimasti al 1985 (sì, lo so, me lo ero dimenticato, right?) e a “Unico indizio: la luna piena”. Non aspettatevi dei licantropi dolciotti e fighetti come in “Twilight”, qui un licantropo è un licantropo, per quanto qualche trucco possa sempre saltare fuori. Come ad esempio il vedere che il tizio che viene fatto fuori dal lupo sia poi mostrato nella sua esatta veste di fantoccio con regolamentare testa spiaccicata.
Nel 1987 vede la luce un film che teoricamente è tratto dal libro “L’uomo in fuga”, scritto da King sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, uno dei libri più interessanti che abbia scritto. Teoricamente, dico, perché io ho riconosciuto i nomi dei personaggi e vaghissimamente la storia, dal momento che il resto è… uhm… Facciamo che diciamo per pietà che è “liberamente ispirato” e via, eh? Anche perché il protagonista, che nel libro è descritto come un tizio magrolino e con il viso scavato dalla carenza di cibo, qui è interpretato da tale Arnold Schwarzenegger, noto ai più per il suo mandato di governatore della California e anche per “Terminator”. No, per dire, eh… Il film è “L’implacabile”, tanto per la cronaca. Fireball zompa allegramente in mezzo al fuoco: nonostante questo, i suoi capelli non ne risentono minimamente…
Cominciamo gli anni ‘90 (o finiamo gli anni ‘80, as you like, non tiratemi in ballo nella diatriba della fine del Millennio, vi prego!) con “I delitti del gatto nero”, film amatissimo dalla mia truppa felina per ovvi motivi. Nell’episodio della mummia, i personaggi parlano più volte di una “pergamena”… ma visto che abbiamo a che fare con un reperto dell’antico Egitto, è molto più probabile che si tratti di un papiro, non di una pergamena. Capito che son vecchi entrambi, ma un po’ di precisione, per l’amor del cielo!
Sempre nel 1990 vede la luce “Misery non deve morire”, titolo del film che spesso viene attribuito anche al libro, più semplicemente intitolato “Misery”. Essendo anche io una simpatica scribacchina, mi sono parecchio immedesimata in Paul Sheldon, anche se non so fino a che punto mi piacerebbe pensare di avere una AmmiratriceNumeroUno come Annie. Uhm. Nelle prime scene del film, quando Paul Sheldon sta finendo di scrivere il suo romanzo, si può notare un errore grossolano. Viene inquadrata la pagina in primo piano con il martelletto della macchina da scrivere che batte le lettere formando quella che sarà l’ultima frase del libro. Dall’inquadratura notiamo che Paul scrive “without it, what else was there…?” e lo scrive tutto sulla stessa riga, badate bene! Poi invece viene inquadrata la pagina con la mano di Paul che, con una matita, scrive dopo le ultime righe “THE END”: peccato però che si possano scorgere le ultime righe con la frase “but without it,” alla fine della penultima riga, mentre “what else was there…?” all’inizio dell’ultima. Dunque prima la frase si presentava su un’unica riga (l’ultima) mentre all’inquadratura successiva appariva divisa in due parti (l’una alla fine della penultima e l’altra a capo).
Tre anni dopo è la volta di “La metà oscura”, che riprende il tema del doppio, probabilmente ispirata dall’alter ego dello stesso King, Richard Bachman. George Stark (no, non è parente di Tony, tranquilli) costringe Miriam Cowley a telefonare a Thad Beaumont. Durante la telefonata, taglia il filo del telefono e la uccide. Di conseguenza le ultime parole pronunciate da Miriam prima che morisse ma anche dopo che il filo era già stato tagliato (“C’è un maniaco che mi vuole ammazzare, mi sta torturando”), Beaumont non potrebbe sentirle; invece, più tardi, le riferisce allo sceriffo, probabilmente in una botta di chiaroveggenza o giù di lì.
Ancora nel 1993 (evidentemente o non esce un tubo, o escono in massa, i film di King, sarà che da soli si fanno paurissima…) esce anche “Cose Preziose”, con tale Max Von Sydow, non so se l’avete presente. Il libro è poderoso e il film pure, ma fossi in voi io shopping al “Cose Preziose” non ce lo farei. Poi rischio che si trasmuti in “Safarà” e mi accolga un ghignante Hamlin come in Dylan Dog ed è una cosa che eviterei molto volentieri, ecco. Dopo che “Buster” uccide la moglie a martellate va nel lavandino a lavare il martello; si vede che il martello stesso e le mani sono pieni di sangue (il che è normale) ma sulle sue maniche e sul resto del vestito non ce n’è neanche una goccia (il che è assolutamente impossibile). Del resto, smacchiare il sangue è così macchinoso…
L’anno successivo esce solo “Le ali della libertà”, tratto dal racconto “La redenzione di Shawshank” di “Stagioni diverse”, raccolta dalla quale prenderanno anche “Apt Pupil”, ma lo vedremo dopo. Questo film è fantaviglioso anche perché nel racconto originale Red viene chiamato così perché è un pischellino irlandese con i capelli rossi. Qui è interpretato da Morgan Freeman con un notevole senso dell’umorismo (“Perché ti chiamano Red?” “Deve essere perché ho i capelli rossi…” Delizioso!). L’errore che scelgo è questo: dopo aver strisciato nelle fogne, il nostro eroe si trova in una laghetto con tanto di acquazzone purificatore. Vicino a lui, un pacchettello di plastica contenente scacchi di pietra e scacchiera, vestiti di ricambio, scarpe. Il tutto, ovviamente, galleggiante come un canottino intorno a lui…
Coraggio, ragazzi, coraggio. Ancora uno, poi basta. “The Mangler – La macchina infernale” (che anche che basta, con ‘ste macchine infernali, o all’inferno potrebbero intraprendere una onorata carriera di concessionari…), tratto da “Il mangano” della raccolta “A volte ritornano”. Qui vediamo Sherry che si ferisce con la macchina da stiro e viene fasciata. Una fasciatura che viene anche lei dall’inferno perché continua a cambiare senza sosta per tutta la durata della scena…
Bene. Con questo siamo a metà dei Nineties.
Nella terza puntata vedremo tutti i film dai Nineties in poi. Non sono poi molti, evidentemente l’horror serio tira meno, meglio Apocalissi, 2012 e film piangiurenti di diversa natura e derivazione, ma hey!, a frugare bene qualcosa di buono c’è.
E come dice sempre King… A presto, Fedeli Lettori!