La notizia pare certa. Ed è terrificante, lasciatemelo dire. Una non può stare lì a guardare Gordon Ramsay che tira giù saracche come non ci fosse un domani e poi scoprire che stanno davvero per farlo. Voglio dire, seriamente… chi è il genio del crimine che ha pensato di ridurre a film uno dei cartoni più sfigati di tutto il globo terracqueo?! Uno di quei cartoni che se eri così masochista da volerti vedere preparavi anche un paio di etti di kleenex e della cioccolata di pronto soccorso, che non si sa mai? Uno di quei cartoni secondo solo al Remì di “Senza famiglia”, ma solo perché lui i suoi compagni di avventure (tre cani e una scimmia più un padrone-amico) è riuscito ad accopparli tutti tranne uno e provocava sfighe immonde al suo solo avvicinarsi. Per dire, conosce una famiglia di un fiorista che lo prende in casa come figlio e lo fanno diventare garzone? Arriva l’uragano e devasta le serre. Conosce un famiglia di minatori che lo prendono in casa come figlio e lo fanno diventare garzone? La miniera crolla. Roba che nemmeno la Fletcher dei tempi d’oro, quella che se si muove da casa accoppano un cristiano. E adesso cosa scopro? Che fanno un film dal cartone “Belle e Sebastien”. Mi ricordo ancora la sigla e NON era fra le mie preferite. Mi stupisce che non abbiano pensato di fare prima Remì, ma presumo che sia perché hanno già girato “2012” e come storia, in ambito di devastazione, più o meno siamo lì.
Ondepercuiciò, mi lancio a corpo morto in un revival anni ‘80 di roba veramente seria, di roba che se hanno fatto un film ci sarà i suoi motivi, di roba che non c’entra una cippa con la serie originale, ma vuoi mettere? Oggi, signore e signori, mesdames et monsieurs, si va al cinema a guardare i cartoni.
Comincerei con la quadrilogia dei “Transformers”, i robottelli a forma di macchininecamionruspeaereomezzomeccanicoacaso che se girolati come si deve diventano robot. Generalmente al terzo girolamento si incastravano miserandamente, soprattutto se venivano usati per battaglie cruente, ma che ci volete fare. C’est la guerre. E non ho sbagliato chiamandola quadrilogia: ho scoperto che esiste un film del 1986, strettamente legato alla serie originale, che si chiama proprio “The Transformers” e che è ancora a cartoni animati vecchia scuola. Figoso, lo so. E abbiamo un errore tipico dei cartoni: le dimensioni di Unicron variano durante tutto il film: quando parla con Megatron è largo solo qualche chilometro, ma quando divora il pianeta all’inizio del film e poi quando divora le due lune di Cybertron è grande quanto un pianeta. Non erano poi molto accurati, all’epoca, diciamolo.
Con la serie americana, invece, eccoci giocare con dei film veri e propri, pieni di CG come se piovesse: “Transformers” è il primo, girato nel 2007. Errore anche questo tipico dei cartoni, ma non solo: Glen, l’hacker, divora un intero piatto di ciambelle e ne lascia solo un quarto di una. Durante gli stacchi successivi la ciambella rimasta sarà intera o più o meno grande. E io non voglio sapere quante ne abbia davvero dovute mangiare il poveraccio.
Nel 2009 abbiamo il secondo volume della faccenda: “Transformers 2 – La vendetta del Caduto”. Sarà che gli han fatto lo sgambetto e si è offeso a morte, ma io tutta ‘sta tragggedia non l’ho vista. Anyway. Sam dice di portare Optimus Prime alla “punta di pugnale” ovvero il golfo di Aqaba, i soldati lo portano sul posto dopodiché ha luogo una sanguinosa battaglia tra Autobot e Decepticon a poca distanza dalle piramidi, il che è impossibile dato che il golfo di Aqaba si trova a circa 350/400 km da esse. Ecco, a parte che le piramidi, come in tutti i film in cui l’Egitto è anche solo menzionato, le spostano un po’ dove capita (tanto, cosa ci vuole? Son poi due o tre pezzi di pietra, no?), mi scoccia ancora che chiamino Decepticon i “Destructor”. Negli 80s li chiamavamo così, siete pregati di non fare libere traduzioni poetiche. O chiedere a un ottantino che aveva davvero visto i cartoni era brutto? Esistiamo ancora, eh!
Qualche anno dopo, nel 2011, la Megan Fox ormai troppo famosa per i sequel si è data e al posto suo c’è una modella riciclata attrice, tale Rosie Huntington-Whitley, che ci metti un quarto d’ora solo a scrivere il suo nome ma in fondo dai, non è malaccio, credevo peggio. Il blooper è su di lei, comunque: mentre Carlie sta salendo le scale (e noi donne notiamo la cellulite sul suo sedere, cosa che al nostro ego fa lo stesso effetto di diciotto chili di Nutella…), vediamo che ha un cappellino da baseball in testa. Appena entra nella camera del suo ragazzo, vediamo che è magicamente sparito e non appare più, nemmeno per terra, da nessuna parte.
Altre due serie di cartoni animati che io guardavo volentierissimo ma che mi creavano non pochi problemi di socialità, non foss’altro perché alla stessa ora c’erano Georgie e CandyCandy (o i MioMiniPony, LadyLovelyLocks, i Popples…) che guardavano le mie amichine di scuola: loro, informatissime sui vari Terence, Albert e Abel, io che avrei voluto fortissimamente provare le mosse di Hokuto di “Ken il guerriero” o discutere dell’ultimo piano dei Cobra contro i “G.I. Joe”. Comprensibilmente la comunicazione fra me e loro non era granché, ecco. Per colmare questa imperdonabile lacuna, ho poi comprato i manga originali qualche anno fa, giusto per scoprire cosa mi ero persa (non molto, ma ora capisco tante cose…).
Andiamo quindi sull’onda dei ricordi e dei miei amatissimi “G. I. Joe” (sempre avuto un debole per Flint e per Scarlet, alla quale invidiavo la balestra, confesso…), sogno proibito di bimba perché “non si regalano i soldatini alle bambine! Saremo mica matti?!” (grazie, zia, te ne sono sempre stata tanto riconoscente, really…). Sempre avuto l’anima guerrafondaia, io. E quindi eccoci a blooperare “G.I. Joe – La nascita dei Cobra”, con un Duke con la faccia da sbarbino che nel cartone sarebbe finito al massimo a fare il rookie nelle retrovie. Quando Heavy Duty (l’omone nero con l’orecchino) è nella navicella sott’acqua al Polo Nord in un’inquadratura il suo bellissimo orecchino che è sempre stato a sinistra all’improvviso passa a destra per poi tornare a posto qualche scena dopo.
Nel secondo film, “G.I. Joe – La Vendetta” vediamo come subito dopo la strage, Roadblock si avvicini al cadavere di un soldato e gli strappi la catenina con le mostrine: in realtà, ogni soldato porta due mostrine, una infilata alla catenina intorno al collo, l’altra infilata in una catenina più piccola legata alla catenina principale. Quando il soldato viene ucciso, viene staccata sempre solo la mostrina infilata nella catenina piccola, lasciando la catenina grande al collo del cadavere, in modo tale che possa poi essere identificato. Roadblock, quindi, sbaglia grossolanamente strappando entrambe le mostrine al cadavere. Ops.
Terminiamo questa prima carrellata di cartoni anni ‘80 (perché non pensavate di sfangarvi la seconda parte, vero?) con un film che in genere viene passato a Natale, in quanto concentrato di buoni sentimenti in quantità pericolosamente vicine all’overdose: “Piccolo Lord”. Perché mai? Perché all’ora di merenda c’erano periodi in cui pane e sfiga (o lacrime, a seconda…) fornivano il giusto apporto calorico ai bambini in crescita, che si guardavano anche ‘sti polpettoni tratti da classici per l’infanzia. In questo caso, anche la sigla del cartone era abominevolmente farcita di buoni sentimenti e si tendeva a saltarla andando opportunamente a lavarsi le mani. Il protagonista, identico a quello del film, solo più tondo e coi capelli sempre in piega. Nella scena finale in cui Cedric, la madre e il nonno sono a tavola per il pranzo di Natale si vede la tavola riccamente imbandita. Nella scena immediatamente successiva i tre si prendono per mano sullo stesso tavolo che è diventato improvvisamente vuoto.
Il tempo a nostra disposizione è terminato (e anche lo spazio sul Sussy, non vorrete mica che lo smollino tutto ai miei deliri!), per cui fremete di impasiensa e ci leggiamo venerdì prossimo: appassionati della giapponesità manga, preparatevi. Il prossimo pezzo è per voi.