Fra una nuvola e l’altra ecco che spuntano timidi raggi di solicello (il primo che mi dice che “No, qui da noi c’è caldo sfondo!” lo sotterro insieme a un metalupo in attesa di essere centrato dal Trono di Spade medesimo, eh!). Io odio il caldo, sappiatelo, ma dopo eoni di pioggia e nuvole, un po’ di asciutto non mi fa schifo. Giusto per evitare che le mangrovie che stanno crescendo in giardino si sentano troppo a casa, ecco. Se sento la mancanza di un’umidità sotto il 99%, però, non sento assolutamente la mancanza di certi spettacoli terrificanti che saltano fuori proprio coi primi caldi: signore attempate con prole nella seconda metà degli “enti” che ostentano mise che anche Madonna versione Material Girl avrebbe guardato dubbiosa. Soggette al limite dell’età legale vestite con microtop e microshort (tanto fa già 15 gradi, fa caldo…) che si portano in giro soggetti che tentano di imitare il muscolo in mostra come hanno visto fare a Gerald Butler in “300” (l’effetto, a onor del vero, è etologicamente interessante seppure visivamente molto discutibile)… Insomma, arriva la stagione calda e con lei la necessità di cosette rapide, leggere, un po’ svaporate come i fulgidi esempi di cui sopra: niente di meglio di un po’ di chick-film. Non scocciate che non esiste il termine: non esisteva nemmeno chick-lit, ma poi lo hanno inventato. Oh.

Cominciamo con la madre di tutti i film (e i libri) sul genere: “Il diario di Bridget Jones”. Buffo qui il fatto che nel libro Bridget intervisti Colin Firth e sbavi (letteralmente, dico) come una biscia su di lui: per ovvi motivi questa parte nel film è stata tagliata, ma sarebbe stata la parte più divertente. Finale del film: Bridget zompa fuori di casa in una tormenta di neve più finta di una moneta da tre euro. Dando per buona che riesca a non surgelare stando in mutande in mezzo alla strada, è molto strano che da nessuna bocca esca una sola nuvoletta di vapore che sia una…

Non possiamo farci scappare il secondo, ovviamente, “Che pasticcio, Bridget Jones!”. Qui la nostra Bridget ha il suo daffare a tenere insieme la sua relazione, ma noi tifiamo tutte per lei (anche se concupiamo il suo tipo in maniera fin troppo palese). Gli uccelli che volano sopra il Tower Bridge (dopo la serata con gli avvocati) e quelli che volano sulla chiesetta (dopo il matrimonio dei genitori di Bridget) sono palesemente e tristemente aggiunti al computer.

Il prossimo film è tratto da una serie di libri di chick-lit molto molto leggeri e molto molto carini, “I love shopping” di Sophie Kinsella. Purtroppo purtroppissimo il film che ne hanno tratto, “I love shopping”, appunto, fa un minestrone terrificante di due libri riuscendo a non far capire un tubo di niente della storia e dei personaggi. Film perdibilissimo, diciamolo. Quando la mamma di Rebecca mostra un (orrendo) gilet di lana alla figlia e al marito, al mercatino, guardate le sue dita: se inquadrata davanti lo tiene per le spalle con tutta la mano, se inquadrata da dietro lo tiene con due dita.

“Il diavolo veste Prada”, invece, è un film che merita di essere visto tratto da un libro che merita di essere letto: grandiosa la Streep ed eccezionale la caricatura (ma mica troppo…) di Anna Wintour, la potentissima direttrice di “Vogue Usa”. Qui vediamo il futuro Mentalist Simon Baker in azione, mentre chiacchiera nei panni di Chris con Anne Hathaway (Andy). La frangia della fanciulla, nei vari campi-controcampi, cambia in continuazione: chissà se avrà un significato, nel linguaggio del corpo…

Ritroviamo la Hathaway in “Bride Wars – La mia miglior nemica”. Non è che sia sempre così, eh, quando un paio di soggette si devono sposare, una sarà la damigella dell’altra, magari si invitano alle prove dell’abito a vicenda… e poi si insultano l’istante dopo. In genere poi o non ci si parla più per il resto della vita, maledicendo la famiglia e la progenie per le successive diciotto generazioni, oppure si arriva di nuovo amiche all’altare, senza che nessuna delle due tenti più di asfaltare l’altra con la propria scatolina di tonno semovente (anche perché si è insicure su chi avrebbe la peggio…). Anyway. Durante la festa di fidanzamento, una delle ospiti beve una luuuuuuunga sorsata dal suo cocktail… salvo poi ritrovarsi col bicchiere ancora pieno.

Gli ultimi due film sono un po’… uhm… particolari. Non sono esattamente chick lit, ma sono leggeri e godibili e molto carini. E in entrambi troviamo Meryl Streep, ora che ci penso. Il primo è “La morte ti fa bella”, con un Bruce Willis realmente sorprendente e in un ruolo assolutamente inusuale per lui, che in genere fa “sanguemortecasinoassoluto” di secondo nome. Qui interpreta un chirurgo plastico gracilino e timidino e… well, è veramente divertente. Quando Helen guarda la TV, vediamo come la vaschetta di gelato che ha appena preso, piena, dalla dispensa, sia magicamente già vuota per un terzo l’istante successivo.

Concludiamo con “She-Devil – Lei, il diavolo”, una sorta di antidoto contro lo strapotere nei film delle filiformi, e non solo. Meryl Streep grandiosa nella sua villa tutta rosa e Roseanne Barr fenomenale nella sua… well, nel suo essere “lei”. Qui segnaliamo un blooper di trucco: quando Roseanne provoca l’incendio, ha un vestito a fiori rossi immensi con sfondo blu. Quando si allontana e dietro di lei appare la casa che esplode, il vestito è diventato con sfondo nero, per evitare che la casa in fiamme, proiettata sul blue screen, apparisse anche sul vestito, svelando il trucco.

Adesso, però, che una bava di sole sembra uscita seriamente fuori dalle nubi, scusatemi se mi assento e faccio uno squillo alle mia chick-friends: una session di chiacchiere, una tazza di tè, malignamenti a go-go e torniamo in pace con il mondo e con le mise terrificanti che paiono andranno di modissima questa primavera.