«L’idea di una vita senza rischi è un’utopia che può rendere folli»: inizia così l’editoriale di Claudio Risé, scrittore e psicoanalista milanese, su La Verità di oggi. Il tema della resilienza e delle conseguenze “psicologiche” dell’emergenza Covid-19 sui cittadini è discusso non proprio da oggi, ma è la provocazione lanciata da Risé sul considerare una vita da remoto “senza rischi” ad alimentare il dibattito nei giorni purtroppo nuovamente drammatici per la “seconda ondata” che sta travolgendo l’Europa. «La gestione del Covid fatta dal Governo italiano dimentica una verità elementare», spiega il professore in prima pagina del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, «Solo la morte, la non vita, non corre alcun pericolo, perché in essa l’esistenza appunto non c’è più, si è già spenta». Non è né fatalismo né puro eroismo, ma solo una semplice verità umana e antica come il mondo: secondo Risé «solo da morti si è liberi da minacce» e per questo l’idea di restringere sempre di più e chiudere le persone in casa per evitare ogni rischio è in realtà una sorta di “utopia” che non conduce a nulla di buono. «L’educazione più efficace è quella che insegna ad affrontare gli inevitabili pericoli da subito, con attenzione e responsabilità, non quella che li sminuisce contando sui toccasana della scienza o delle reclusioni di massa per eliminarli», sottolinea ancora Risé su la Verità.



“VIVERE SENZA RISCHI NON È VERA VITA”

La gestione costantemente allarmista della pandemia – con proclami, bozze di interventi, anticipazioni e decreti ogni settimana – non rappresenta una modalità “idonea” secondo l’analisi di Risé: «La gestione spaventata e autoritaria produce individui terrorizzati dalla realtà, ormai incapaci di reagire attivamente ai rischi della situazione e insieme costretti a lasciarsi condizionare dalle iniziative repressivo-depressive, fino a perdere il gusto della vita», ripete lo psicoterapeuta, allontanando ogni “toccasana” come lo smartworking (se non quando di è del tutto obbligati) o coprifuoco. La vita da remoto illude di poter essere al riparo dalla morte, ma non è così: «non si risolve chiudendosi in casa, lavandosi le mani, e mettendosi la mascherina. Ciò non corrisponde in nulla al corpo e alla psiche umana, e continuare a ripeterne l’esperienza li fa ammalare entrambi, come ogni terapeuta onesto constata quotidianamente, osservando la moltiplicazione dei malesseri di ogni tipo». Il concetto viene ribadito anche alla fine dell’editoriale, quanto Claudio Risé fa “discendere” questa antica verità della vita impossibile senza rischi dalla connaturata essenza stessa dell’essere umano: «l’autoconfinamento e il distaccamento da ogni socialità ci illude di essere al sicuro, ma i danni che incute alle menti e ai corpi è incalcolabile […] Siamo al mondo solo se ingaggiamo una lotta per la sopravvivenza: senza la quale, qualsiasi virus ci abbatterà».

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