Non si illudano i lettori del Sussidiario di leggere la mia come un’ulteriore voce nel coro di sdegno di Pd, Lega, 5 Stelle, ecc., che ha accompagnato la bocciatura dell’abrogazione in Senato di quella componente aggiuntiva di reddito dei parlamentari, popolarmente ancora denominata vitalizio. Abrogazione a suo tempo colonna portante e misura distintiva di quelle campagne “anti-casta” divenute motivi di punta delle nuove proposte politiche.
In verità con esse si mistificava in provvedimenti propagandati come etici ciò che in verità diveniva, con la loro applicabilità e applicazione, coltivazione dell’ignoranza irrigata con l’acqua giustizialista e populista. Coltivazione tanto cara non solo ai “Signor Di” come Di Battista, Di Maio (chi non ricorda il caso Boschi), ma anche a tutti coloro che coltivano la democrazia a “motu proprio” (cioè per quello che convenientemente è comodo). Già, tutti coloro che da cattivi maestri non possono che dare cattive lezioni sulla democrazia rendendola cosi fluida con la loro gestione da sottoportico e da fondale. E questo avviene con tutti i “maestri del conveniente”, quali i “datati”, nel vecchio e nel nuovo, eredi di una certa sinistra e destra (dall’ex Pci poi Pds, poi Ds di D’Alema e coorti variamente distribuite, alla Lega di Salvini “in cerca”, senza ritegno, di puntellare la propria quota, fino ai concorrenti Fratelli di Meloni tesi ad aumentare la propria, di quota).
No al contrario. La mia voce e la mia collocazione è all’opposto. Ritengo infatti che tutti gli interventi fatti, da Zingaretti a Crimi a Salvini ecc., in merito alla sentenza della Commissione in autodichia del Senato, siano non solo impropri e manipolatori nel cavalcare l’attuale congiuntura, ma lesivi di uno dei più importanti fondamenti della democrazia: il diritto. Quando si sostituisce l”humus” dei tempi al diritto che è pietra angolare a garanzia del patto sociale e politico, insito nella Costituzione, allora torna obbligatorio recuperare quell'”estote parati” caro ai nostri avi. E ve lo dimostro. Mentre la Casellati, presidente del Senato, seconda carica dello Stato dopo quella di Mattarella, ha dichiarato nella grancassa che esiste un percorso di appello al provvedimento, io richiamo quanto segue.
Nel 2011 il vitalizio parlamentare è stato abolito come trattamento accessorio alle competenze previste dalla Costituzione nell’articolo 69. Con questa abolizione e grazie all’intervento de facto e de jure nei termini di quell’autonomia giurisdizionale di Camera e Senato conosciuta con il nome di “autodichia”, l’ex vitalizio è stato inserito come quota accessoria ex retributiva a quella vera propria forma previdenziale prevista dalle norme del 2012: la pensione parlamentare.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (nel trattarne la configurazione regionale che non gode delle prerogative giuridicamente autonome come quelle parlamentari) ha definitivamente negato la tesi della natura previdenziale e specificatamente di pensione del vitalizio. Ha infatti affermato che va esclusa la natura pensionistica dell’assegno in questione, avendo esso una diversità di finalità e di regime rispetto alle pensioni, sia pur in presenza di caratteristiche della prestazione “lato sensu” previdenziali. Lo stesso soggetto politico nel cui programma si chiedeva l’eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo ha successivamente riconosciuto che la giurisprudenza prevalente ha raggiunto una assestata conclusione in ordine alla «natura non previdenziale» degli emolumenti erogati agli ex componenti di assemblee elettive (Corte conti sez. Lombardia 24 giugno 2015, n. 117).
Nel quadro di adeguamento alla tempistica chiesta dalla legge in materia, esistendo già dal 2011 il sistema contributivo e subendo i vitalizi l’effetto di “attrazione e compressione nel regime previdenziale”, a partire appunto dal 2011, chiesi due anni fa, come presidente di Popolari&Progressisti l’utilizzo dell’autodichia per tassare gli “eccedenti”, al pari delle c.d “pensioni d’oro”, costituendo un fondo di destinazione del prelievo, il cui montante sia destinato alla riduzione del debito pubblico o a qualsiasi altra lodevole iniziativa pubblica. Un processo, questo, che sia monitorato dalla Corte dei Conti e che renda orgogliosi e soddisfatti coloro che hanno eletto parlamentari, responsabili e degni della rappresentanza che esprimono.
Autodichia e Fondo Autonomo: due parole chiave per l’equità e per chiudere con confusione e propaganda.