Una bassa concentrazione nel plasma di 25-idrossi-vitamina D rappresenta un fattore di rischio per quanto riguarda il coronavirus. Diverse ricerche negli ultimi anni hanno acceso i riflettori sulla carenza di vitamina D e le sue conseguenze, spiegando che può far aumentare il rischio di soffrire di malattie del sistema immunitario. Ora una ricerca israeliana conferma che può incrementare il rischio di un decorso più serio dell’infezione Covid-19. Chi risulta positivo al coronavirus ed ha livelli bassi di vitamina D ha una probabilità maggiore di finire in ospedale. «Livelli plasmatici non ottimali di vitamina D possono essere un potenziale fattore di rischio per l’infezione da COVID-19, in particolare, per gli elevati rischi di ospedalizzazione, indipendentemente dalle caratteristiche demografiche e dalle condizioni mediche», scrivono i ricercatori dello studio pubblicato su medRxiv. Gli studiosi ritengono che sia una scoperta importante perché «potrebbe guidare i sistemi sanitari nell’identificazione delle popolazioni a rischio e contribuire a interventi mirati a ridurre il rischio di infezione da COVID-19». D’altra parte sono consapevoli del fatto che servano altri studi, ad esempio per valutare gli effetti degli integratori di vitamina D sul rischio di ospedalizzazione per il coronavirus.



STUDI UK SU LEGAME TRA CARENZA VITAMINA D E COVID

Ad una conclusione simile sono arrivati altri studi, non a caso nel Regno Unito la Scientific Advisory Committee on Nutrition (SACN) ha esortato la popolazione ad assumere più vitamina D, essenziale per mantenere un sistema immunitario sano. Così pure il National Institute for Health and Care Excellence e Royal Society. Si consiglia quindi una maggiore esposizione al sole, ma è anche importante puntare sulla giusta alimentazione. «Partivo da una posizione scettica. Avevo dubbi sul fatto che la vitamina D potesse avere un ruolo nel Covid-19, ma ora sono convinto che ci siano forti prove che le persone con una carenza siano più suscettibili», ha dichiarato al Financial Times il professor Charles Bangham, docente di immunologia all’Imperial College di Londra e coautore dl giornale della Royal Society. Inoltre, ipotizza che questo possa spiegare perché «le persone con la pelle scura sono più gravemente colpite dalla malattia». Nel Regno Unito le persone di colore costituiscono circa il 13%, ma rappresentano un terzo dei pazienti Covid-19 finiti in terapia intensiva. Negli Stati Uniti rappresentano il 14% circa della popolazione, ma tra i ricoverati sono il 30%.



C’è comunque chi resta scettico, come Naveed Sattar, professore di medicina all’università di Glasgow, che ha condotto uno studio su 340mila persone, di cui 650 ricoverati e 200 morti. Non ha trovato alcuna correlazione tra livelli di vitamina D nel sangue e Covid-19. «Molti vogliono credere che la vitamina D funzioni, ma tutti noi dobbiamo essere completamente oggettivi. Solo uno studio clinico randomizzato ben controllato sulla vitamina D ci darà la risposta», ha dichiarato al Financial Times. Una risposta potrebbe arrivare da Adrian Martineau, professore della Queen Mary University di Londra: il suo tema ha analizzato i dati di 25 studi clinici condotti nel 2017 trovando un effetto protettivo della vitamina D contro le infezioni respiratorie, scoprendo che è più forte nelle persone con bassi livelli di vitamina D nel sangue. Ora sta ampliando la ricerca con altri 14 studi per fornire nuove prove.

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