Israele ha ricominciato da dove aveva finito, con un’azione militare massiccia questa volta portata anche nel Sud della Striscia, in quella Khan Yunis patria di diversi capi di Hamas, arrivando fino a Rafah, al confine con l’Egitto. Una operazione, spiega Vincenzo Giallongo, colonnello dei carabinieri in congedo che ha partecipato a diverse missioni in Albania, Iraq, Kuwait e Kosovo, condotta di fatto con il beneplacito degli Usa, che ufficialmente chiedono una campagna meno invasiva nei confronti dei civili e ipotizzano un futuro in cui abbiano spazio anche i palestinesi, ma in pratica lasciano che gli alleati israeliani sviluppino i loro piani in tutto e per tutto, puntando a eliminare Hamas e controllare la Striscia per evitare che da lì vengano nuovi pericoli per Tel Aviv. E mentre l’Iran vuole realizzare una coalizione per la Palestina e Putin annuncia che sarà in Arabia Saudita e negli Emirati, Israele non smette di bombardare.



Gli Stati Uniti parlano di due Stati, Israele continua a occupare la Cisgiordania, Washington chiede più attenzione ai civili e Tel Aviv riprende a bombardare come prima. Quali sono i reali rapporti tra i due alleati: non si sopportano o fanno finta?

Gli Usa, per non rovinare i rapporti con il mondo arabo, cercano di arrivare a un ammorbidimento del conflitto. Anche se cosa significhi ammorbidire in questa situazione io, da soldato, lo devo ancora capire. Lo devono fare per giustificarsi agli occhi degli pseudo alleati arabi, che vorrebbero una pacificazione. Per questo gli americani sono costretti a dire che è bene che Israele si dia una calmata e non faccia troppe vittime fra la popolazione civile.



Di fatto, tuttavia, non ci credono e lasciano fare a Israele quello che vuole?

È chiaro. D’altra parte, cosa potrebbero fare contro Israele, un embargo? Ci sarebbe una reazione da parte dei miliardari ebrei che sono negli Usa e ripercussioni sull’economia a stelle e strisce. Si tratta semplicemente del gioco delle parti. Israele questi richiami neppure li sente: un governo di unità nazionale in cui la destra è molto rappresentata difficilmente farà marcia indietro. Ora, tra l’altro, cominciano a circolare ricostruzioni per cui i servizi israeliani in realtà non erano all’oscuro di quanto stava per succedere il 7 ottobre. Israele non può permettersi di essere vulnerabile sotto il profilo dell’intelligence.



Cosa è successo veramente allora?

Secondo me sapevano cosa si stesse preparando, forse non credevano che l’attacco fosse così massiccio o non lo pensavano così imminente, ma ne erano a conoscenza. E poteva anche fare loro gioco: meglio subire un attacco duro e reagire con un’operazione per sistemare definitivamente la situazione. Potrebbero aver lasciato che succedesse per arrivare alla resa dei conti finale. Sarà brutto da dire, ma ho qualcosa più di un sospetto che sia andata così.

Gli israeliani attaccano con la stessa determinazione di prima della tregua, questa volta spostandosi verso Khan Yunis e arrivando fino a Rafah. Mentre il mondo discute sulla collocazione degli sfollati vogliono mettere tutti davanti al fatto compiuto spostando i palestinesi fuori dalla Striscia?

Hanno detto ai residenti di andarsene dal Sud perché avrebbero attaccato in quella zona. La popolazione l’hanno avvisata, poi perché non riesce o perché non vuole, gran parte della gente non va via e loro fanno quello che devono fare: attaccano. Hanno detto chiaramente che avrebbero preso possesso di tutta la Striscia che sarebbe stata gestita da loro: basta Hamas nel governo di Gaza.

Vuol dire che gestiranno la Striscia con dentro i palestinesi?

Questo non è detto. Cercheranno di far fuori Hamas, prenderanno tutta la Striscia di Gaza e poi ampio spazio alle trattative. Gli israeliani vogliono iniziare le trattative in una posizione di forza, controllando il territorio per fare in modo che qualsiasi soluzione debba passare da loro. Intanto tirano dritto per la loro strada: gli americani possono dire quello che vogliono.

Anche la delegazione Usa guidata dalla vicepresidente Kamala Harris, annunciata in arrivo per discutere del futuro di Gaza con Israele e con il capo dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, non otterrà niente?

Li faranno parlare poi Israele farà quello che vuole. Gli Usa non possono non appoggiare Israele. Dichiarano quello che una piccola parte di loro crede anche, ma poi devono appoggiare gli israeliani.

L’Iran oggi ha fatto un appello agli altri Paesi auspicando la creazione di una coalizione per sostenere la Palestina. Solo propaganda? Il ruolo di Teheran resta defilato?

L’Iran comincia ad avere paura: ha fatto la voce grossa inizialmente. Ora che si è accorto che Israele non sta scherzando e che ha deciso di andare avanti, ha capito quali sono i rapporti di forza, di essere cioè in posizione di inferiorità. Israele, d’altra parte, ha il sostegno degli americani. L’Iran spererebbe in una coalizione ma non conviene a nessuno: l’Egitto non ci pensa, la Giordania non lo farà, la Siria non dovrebbe farlo anche in seguito ad accordi intercorsi tra americani e russi. Rimane il Libano. Qui gli Hezbollah controllano almeno una parte del Paese. Ma Beirut deve stare attenta: gli israeliani già ci stanno pensando ad attaccare il Libano, se Hezbollah facesse la pazzia di accodarsi all’Iran lo farebbero davvero.

(Paolo Rossetti)

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