C’è un motivo scientifico dietro l’immobilità e l’assenza di difesa di alcune vittime di violenza sessuale. Lo svela uno studio britannico che ha suggerito come a paura e la minaccia possano bloccare i circuiti neurali che controllano le azioni e i movimenti, in particolare in situazioni quali una violenza sessuale. L’immobilità della vittima di stupro è spesso usata come pretesto per giustificare agli occhi dello stupratore un consenso inesistente. Ma ora, grazie allo studio pubblicato su Nature, anche la scienza conferma quanto la psicologia ha già spiegato da tempo.



Lo studio in oggetto suggerisce che la mancata reazione delle vittime di stupro o violenza sessuale sia spiegato dallo stato di shock in cui si trovano. “L’immobilità può essere del tutto involontaria. Di fronte a una minaccia, la ricerca ha dimostrato che il cervello può bloccare i circuiti neurali che gestiscono il controllo volontario dei movimenti del corpo“, affermano i professori Patrick Haggard e Ebani Dhawan. Un fenomeno peraltro già osservato negli animali che “si bloccano brevemente di fronte a una lieve minaccia e si tengono pronti a fuggire o a combattere. Ma quando la minaccia è improvvisa e grave, come una costrizione fisica, possono trovarsi in uno stato di immobilità prolungata, con una postura fissa detta immobilità tonica o collassata, caratterizzata da una perdita di tono muscolare“. Lo studio ha anche preso in esame questionari in cui molte vittime di stupro hanno raccontato di non essere state in grado di muoversi o urlare durante la violenza, anche nei casi in cui non si è verificata costrizione fisica.



Vittime di stupro immobili e “congelate”, lo studio: “evitare di incolparle ingiustamente”

L’immobilità durante uno stupro o una violenza sessuale può essere spiegata scientificamente. La dimostrazione di questa ipotesi non può avvenire con metodo scientifico, in quanto si tratta di comportamenti criminali non riproducibili per essere studiati, ma i professori Patrick Haggard e Ebani Dhawan si dicono certi che l’immobilità in risposta a una minaccia estrema sia probabilmente involontaria. Nel loro studio si augurano inoltre che questo risultato possa incoraggiare la ricerca sulla definizione di consenso attivo.



Comprendere i meccanismi neurologici alla base dell’immobilità durante uno stupro o una violenza sessuale permetterebbe di evitare di incolpare ingiustamente le vittime per la loro mancanza di reazione e di mettere in dubbio la loro parola” sottolineano i due studiosi.