I giovani oggi sono in una condizione migliore o peggiore del passato? Il “contrasto” tra generazioni e il conflitto sociale a seguito della pandemia sembra aver peggiorato ulteriormente lo “spirito” comunitario dei tanti giovani che tra scuole chiuse, vita relegata in casa dal lockdown e impedimenti in generale alla socialità non escono di certo benissimo da questo ultimo anno e mezzo. Eppure per Luca Ricolfi, sociologo e stimato professore universitario, l’analisi sui giovani non può esimersi da una semplice quanto netta premessa: «l’idea che i giovani abbiano diritti oggi ad una sorta di risarcimento per il destino cinico e baro cui gli adulti li avrebbero condannati è molto diffusa».
Ma per il professore, intervenuto sull’editoriale in prima pagina al “Messaggero”, tale “tesi” viene smentita dalla realtà di oggi: «Quello che è difficilmente controvertibile perché lo dicono i dati, è che le opportunità di ascesa sociale si sono ridotte, e che passare dai ceti medio-bassi a quelli medio-alti è diventato più difficile». Il problema però si sposta altrove e va ben all’indietro rispetto alla pandemia: «In 50 anni lo scarto tra titolo di studio rilasciato e competenze effettivamente acquisite è cresciuto a dismisura e con esso il divario tra ciò cui un giovane è autorizzato ad aspirare (perché ha il pezzo di carta) e ciò che il mercato del lavoro è disposto a riconoscergli».
IL VITTIMISMO E CARLA FRACCI
Ma secondo Ricolfi la tesi secondo cui la condizione dei giovani è del tutto peggiorata rispetto al passato non offre particolari “prove” in nessun dato statistico e attuale: «assistiamo oggi ad una condizione signorile di massa che nessuna delle generazione del passato aveva mai sperimentato», attacca il sociologo e professore. In maniera neanche troppo sottile, Ricolfi sostiene che il lusso di consumare senza lavorare oggi non poteva avvenire con i baby boomers di un tempo. Meglio il reddito di cittadinanza o peggio un lavoro in “nero” per non perdere il sussidio, spiega in maniera provocatoria Ricolfi considerando tra l’altro in un contesto come questo del tutto fuori luogo la proposta di una dote ai 18enni finanziata da una tassa di successione (made by Enrico Letta).
Tale condizione di “privilegio” esisteva già prima del Covid ma con la pandemia si è purtroppo accentuata visto l’enorme mole di “sussidi” cascati a pioggia dallo Stato in “colpa” per aver chiuso il Paese per mesi. «A fronte di condizioni economiche migliori e privilegiate […] la politica e i mass media hanno cucito addosso ai giovani un abito falso e ingannevole», attacca ancora Luca Ricolfi dalle colonne del “Messaggero”. Un «vittimismo» costante quello descritto dal sociologo che impone il “risarcimento” verso questi giovani invece che lo stimolo per farli crescere e divenire padroni della loro vita «Come se gli obbiettivi più alti si potessero raggiungere senza fatica, impegno e duro lavoro e il successo fosse un diritto da esercitare, anziché un traguardo da conquistare». In questo senso, conclude Ricolfi, l’esempio di un’eminente figura culturale e artistica che purtroppo ci ha appena lasciati – Carla Fracci – a questa generazione dovrebbe dire molto: figlia di operaia e tranviere, la grande ballerina classica diceva di se stessa «Sa qual era la mia forza? Sapevo da dove venivo e volevo farcela» e ancora «decoro, dignità, voglia di fare. Non la rabbia, il disfattismo, l’invidia sociale, non il rancore che oggi è così diffuso». Meno “vittime”, più “maestri” come Carla Fracci.