Sta per compiere 80 anni Vittorio Messori, tra i più importanti autori e vaticanisti convertitosi al cattolicesimo in età adulta: «Ho scommesso sulla morte perché so in chi ho creduto», spiega nella lunga intervista al Corriere della Sera, citando uno dei suoi testi iniziali (per l’appunto “Scommessa sulla morte”) e guardando a quell’ultima parte della sua esistenza osservata con sguardo tutt’altro che “banale” o già sentito. «Ho già dettato l’iscrizione per la lapide sulla tomba: Nome, cognome, data di nascita, data di morte. E “Scio cui credidi”, so in chi ho creduto, come scrive Paolo nella Seconda lettera a Timoteo», spiega il giornalista tra i principali autori cattolici viventi in Italia.



L’intervista è occasione di ripercorrere una lunghissima carriera con aneddoti però assai inediti circa l’origine della sua conversione: «Ero l’allievo prediletto di Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e Luigi Firpo, la trimurti del laicismo. Non avevo alcuna intenzione di diventare cristiano, meno che mai cattolico. Ma cascai dentro una sorta di buco bianco». In sostanza, nell’estate del 1964 cambia tutto attraverso una citazione del Vangelo: «I miei genitori, entrambi mangiapreti, erano in vacanza. Stavo controllando una citazione nel Vangelo, che non avevo mai aperto in vita mia. Non so che mi accadde. Cercai di resistere, ma non vi fu niente da fare. Quando scoprì la conversione, mia madre voleva farmi visitare da uno psichiatra. Galante Garrone mi diseredò moralmente sulla prima pagina della Stampa. Se ora lei mi puntasse una pistola alla tempia e m’ingiungesse di affermare che il Vangelo è una bufala, le direi: spari pure».



VITTORIO MESSORI CRITICA LA CHIESA DI OGGI

Amico di molti movimenti cattolici, amante della cultura e della testimonianza di fede, Vittorio Messori però si dice “allergico” alle grandi battaglie etiche: «mi sono attirato diffidenze, se non rimproveri, per questa assenza. Che vuole mai, è la sindrome del convertito. Ciò che m’interessa è la fede, la possibilità stessa di credere, di scommettere sulla verità del Vangelo. Il resto è solo una conseguenza. Etica, società, lavoro, politica… Tutto necessario ma assurdo, se prima non si saggia l’esistenza e la resistenza del chiodo che deve reggere ogni cosa. E quel chiodo è Gesù». Secondo Messori la vita eterna dovrebbe essere il vero, unico, tema di cui parlare nella Chiesa: ma – e qui emerge il lato critico dell’ex vaticanista – il nodo è proprio l’attualità delle autorità ecclesiali «La Chiesa oggi è una succursale dell’Onu, non ne parla. Questa è riduzione al mondo. Ma Vangelo significa buona notizia, in greco. Gesù non si occupò di politica, nella sua predicazione non condannò neppure la schiavitù. Venne a schiuderci le porte del paradiso. Prima lo sheol per gli ebrei era il regno dei morti, del buio».



Legato e non poco a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, spesso in questo Magistero di Bergoglio si è visto critico in alcuni atteggiamenti e decisioni prese: al Corriere racconta di voler incontrare Ratzinger ancora ma che non oserebbe mai disturbarlo, «Un giorno mi telefonò il suo segretario Georg Gänswein: “Sua Santità la rivedrebbe volentieri, ma lei dovrà dimenticarsi di essere un giornalista”. Peccato, perché fece commenti sulla situazione della Chiesa che erano da prima pagina. Sulla scrivania teneva solo due giornali, il Corriere della Sera e la Süddeutsche Zeitung». E su chi considera ad oggi Ratzinger l’unico vero Papa, Messori sottolinea «Non li seguo. Osservo solo che ha voluto restare vicino a Pietro».