Il Teatro dell’Opera di Roma ha chiuso la stagione 2018-2019 con un’opera contemporanea: Un romano a Marte di Vittorio Montalti, su libretto di Giuliano Compagno. L’opera, che è stata messa in scena al Teatro Nazionale e la cui prima rappresentazione ha avuto luogo il 22 novembre, ha avuto il premio di composizione del Teatro dell’Opera alcuni anni fa e la produzione è parte del programma Contemporaneamente Roma 2019 promosso da Roma Capitale. E’ stato un debutto molto atteso: alla “prima” la sala del Teatro Nazionale era piena di giovani compositori ed anche di critici musicali di altre città italiane, specializzati in musica contemporanea.
A mio avviso, ogni fondazione lirica di livello dovrebbe presentare ogni anno un lavoro di musica contemporanea italiano o straniero pur se solo per testimoniare che l’opera è viva. E’ prassi di molti teatri americani e tedeschi, dove la musica lirica contemporanea affronta anche temi di attualità che hanno notevole presa sul pubblico. Vittorio Montalti è un giovane compositore di 35 anni, titolare della cattedra di armonia al conservatorio di Potenza, ed autore, oltre che di numerosa cameristica, già di quattro opere, di cui una di successo all’ultimo Maggio Musicale Fiorentino.
Un romano a Marte è un’opera in un atto per attore, voce recitante, tre cantanti, orchestra di medie dimensioni ed elettronica. Occorre dare atto al Teatro dell’Opera di avere allestito una produzione di tutto rispetto invitando un maestro concertatore di rango internazionale (John Axerlod) ed affidando la regia al collaudatissimo Fabio Cherstich, il quale, tramite il progetto ‘Opera Camion’ ha portato la lirica nelle periferie sia della Capitale sia di Palermo. Le scene, i costumi e le luci di Gianluigi Toccafondo sono belli ed efficaci. L’allestimento è anche un’occasione di fare esibire e di far conoscere giovani cantanti del Progetto Fabbrica del Teatro dell’Opera.
L’opera non ha una trama, ed una vis drammatica, vera e propria. Prende spunto dal fiasco teatrale a Milano di Un marziano a Roma di Ennio Flaiano per ricordare il confronto-scontro tra Milano e Roma nel periodo a cavallo tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta del Novecento e rendere omaggio alla Città Eterna tramite la figura di quell’intellettuale poliedrico che fu Ennio Flaiano. L’idea di un inchino a Roma in una fase in cui fu uno dei veri centri della cultura europea (non solo italiana) è il merito del lavoro, ma ne è anche il suo limite. Privo di una drammaturgia, fatto di frammenti di testi, di canto, di elettronica, è di difficile comprensione per chi non ha vissuto o studiato quegli anni. Dopo l’inizio, al Teatro Lirico di Milano il 23 Novembre 1960, l’opera (della durata di poco più di un’ora) prende un andamento onirico quasi per “addetti ai lavori”. Le parti più interessanti sono gli abbandoni orchestrali pieni di ritmo e con forti accenti timbrici, anche se più che innovativi ricordano il modo di comporre tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta. Bravi gli interpreti: Domingo Pellicola nel ruolo di Ennio Flaiano, Rafaela Albuquerque in quello di Ilaria Occhini e Timofei Baranov in quello di Kunt il marziano.
Applausi cordiali al calar del sipario.