Vittorio Sgarbi si rende protagonista di alcune dichiarazioni choc sul proprio profilo Facebook, condensabili in un’unica frase: “Silvia Romano va arrestata”. Non bastava il coacervo di polemiche connesse al rimpatrio della ragazza dal Kenya, Paese nel quale era stata sequestrata nell’autunno 2018 e liberata nelle scorse ore dopo il grande lavoro dell’Intelligence italiana, come sottolineato sui social dal premier Giuseppe Conte. Perché il critico d’arte ritiene che la 25enne dovrebbe finire in manette? A causa della sua conversione all’Islam, avvenuta proprio durante il suo sequestro. “Se mafia e terrorismo sono analoghi – scrive Sgarbi – e rappresentano la guerra allo Stato, e se Silvia Romano è radicalmente convertita all’Islam, va arrestata (in Italia è comunque agli arresti domiciliari) per concorso esterno in associazione terroristica. O si pente o è complice dei terroristi“. Affermazioni forti, destinate a generare e ad alimentare ulteriori discussioni in merito a una questione che da due giorni a questa parte sta imperversando sui social.
VITTORIO SGARBI: “SILVIA ROMANO VA ARRESTATA!”
Ad acuire, se possibile, la gravità del pensiero e delle parole di Vittorio Sgarbi è la coincidenza cronologica; il post polemico, infatti, è stato pubblicato su Facebook proprio in contemporanea con la liberazione di Silvia Romano, già nel mirino di migliaia di utenti per il prezzo pagato per il suo riscatto. Come gli hanno fatto notare alcuni haters (e come peraltro riportato sul quotidiano “Leggo”), in Italia vige l’articolo 19 della Costituzione italiana: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Ecco, al di là di ogni dietrologia, di ogni responsabilità accertata o da accertare, di ogni (pre)giudizio da tastiera, Silvia Romano non ha fatto nulla di “contrario al buon costume” ed è reduce da un periodo di tensione, vissuto lontano dalla propria famiglia, dagli affetti più cari. Per i “processi” si può aspettare.