La mostra di Vivian Maier che i Musei Reali di Torino ospitano fino al 26 giugno prossimo contribuisce a gettare luce su un’artista, fotografa e cineamatrice, che passò la sua intera vita nell’ombra. L’esposizione “Vivian Maier. Inedita”, infatti, offre al visitatore oltre 250 immagini, molte inedite e rare, alcune a colori, video super 8 e oggetti personali, come le sue fedeli macchine fotografiche e uno dei suoi adorati cappelli. Nelle Sale Chiablese dei Musei Reali sfilano così gli autoritratti, quasi antenati dei moderni e implacabili selfie, ma anche gli scatti catturati per le strade di New York e di Chicago, come pure le foto realizzate nell’estate del 1959 durante una vacanza in Italia, a Torino e Genova. Vivian Maier seguiva i percorsi della street photography, delle immagini scattate per le strade delle metropoli, ma a modo suo.



I suoi erano solo in apparenza degli “scatti rubati”: l’immagine (ma anche più di una, in sequenza) era immortalata dopo un lungo studio, del luogo e delle persone. Vien da pensare a Vivian Maier mimetizzata a un angolo della strada o in un altro punto strategico che aspetta con pazienza di fotografare l’attimo culminante. Non per nulla “scattare” è un termine che deriva dalla caccia. E non a caso Vivian Maier passò, come detto, la sua vita nell’angolo, in osservazione della vita.



L’ENIGMA VIVIAN MAIER

Ma chi era Vivian Maier? Ricostruire la sua biografia è stato molto complicato, per gli studiosi. Nata a New York nel 1926 da madre francese e padre austriaco, visse la prima parte della sua vita in Francia, dove scoprì il fascino della macchina fotografica. Nel 1951 tornò negli Stati Uniti d’America: a parte una vacanza in Europa e in Oriente, ci passerà la vita, sempre lavorando come tata di ricche famiglie, prima a New York poi a Chicago. Appena poteva, usciva dalle case dei suoi datori di lavoro per percorrere le strade cittadine armata delle sue macchine fotografiche, accumulando così tanti rullini da non riuscire nemmeno a svilupparli. Andata in pensione, stipò tutto il suo archivio in un magazzino, ma nel 2007, malata e indigente, non riuscì più a pagare l’affitto del locale. Il contenuto fu venduto all’asta e qui inizia la seconda vita di Vivian Maier.



A comprare i lotti fu un agente immobiliare, John Maloof, che invece di spedire tutto in discarica cominciò a studiarli. Maloof era un appassionato di fotografia e osservando gli oltre 120.000 negativi in suo possesso capì di avere davanti un vero tesoro artistico. Lo aiutò anche leggere il necrologio della Maier, fatto pubblicare da tre fratelli che erano stati affidati alle sue cure da bambini e le erano rimasti sempre affezionati. Come il baule di Fernando Pessoa, anche quel magazzino era uno scrigno di tesori. Vivian Maier sarebbe morta nel 2009 senza sapere che di lì a poco il suo enorme archivio sarebbe stato catalogato, archiviato, studiato, esposto. Soprattutto amato. Lei, donna dal carattere complesso, accumulatrice seriale, che forse non ebbe altri amori che quello per i bambini e la fotografia.
Anne Morin, curatrice della mostra, non esita oggi a incastonarla “nella storia della fotografia a fianco dei più grandi maestri quali Robert Doisneau, Robert Frank o Helen Levitt”.

VIVIAN MAIER, BIOGRAFIA

Vivian Maier (1926-2009). A parte un periodo in Francia, visse tra New York e Chicago, ma per tutta la vita tenne segreta la sua passione per la fotografia. Il suo imponente archivio di scatti di “street photography” fu scoperto per caso poco prima della sua morte. Già malata, scomparve senza fare in tempo a veder riconosciuta la sua arte.