C’è una data che, più di altre, fotografa l’evoluzione della crisi che sta travolgendo il governo. Almeno per Gianfranco Fini e i suoi. Quella data è il 14 dicembre o un giorno intorno alla metà del prossimo mese. In quella data, infatti, la Corte costituzionale dovrebbe dare il suo parere sulla legittimità del legittimo impedimento.

Molto del futuro di Silvio Berlusconi e dei processi che lo riguardano dipende da questo parere. Fini, dicono in molti, è convinto che sarà negativo. O perlomeno lo spera. Visto che sarebbe questo passaggio, molto più di un qualsiasi incidente di percorso parlamentare, l’occasione per liberarsi, forse definitivamente del Cavaliere.

Forse anche per questo, oltre che per “l’odio” personale che il presidente della Camera prova ormai per il suo “antagonista”, Fini ha rifiutato qualsiasi ipotesi di mediazione. Il leader di Fli è inamovibile: Berlusconi deve uscire di scena, poi si discute. Il vertice di ieri con Bossi lo ha confermato. Il Senatùr si è detto convinto che esistano ancora margini di manovra perché, ha spiegato, “Fini non ce l’ha con Berlusconi”. Ma è vero l’esatto contrario tanto che, parlando con i suoi, il presidente della Camera ha spiegato che “le cose sono un po’ più complicate di come le descrive Bossi”.

E così si prosegue con la strategia concordata. Anzitutto si attende, per “cortesia istituzionale”, che il premier rientri (stanotte) dal G20 di Seul. Quindi si procederà con il ritiro della delegazione finiana al governo. Al più tardi lunedì Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Antonio Buonfiglio e Roberto Menia dovrebbero dimettersi.

Poi sarà la volta della Finanziaria. Fini ha promesso a Napolitano che non si metterà di traverso. Fli potrebbe decidere di astenersi o non partecipare al voto sulla fiducia (alla Camera) optando poi per il sì nella votazione finale sul provvedimento. In questo modo manderebbe un "segnale politico" senza compromettere il percorso della legge.

A quel punto, approvata la Finanziaria, ogni occasione diventerebbe buona per far cadere il governo. Anche perché Fini è certo di una cosa: di fronte all’ipotesi di elezioni anticipate anche al Senato, dove i finiani non sono ancora decisivi per la maggioranza, ci sarebbe una pattuglia di uomini del Pdl pronti a "tradire". Difficile però che Fli decida di presentare una mozione di sfiducia. Almeno che il 14 dicembre la Consulta non dia una mano ad accelerare i processi del Cavaliere.