E arrivò il giorno del giudizio. Ancora 48 ore e il voto del Parlamento (in realtà gli occhi di tutti sono puntati sulla Camera dove la componente finiana è decisiva) rivelerà se Silvio Berlusconi potrà continuare la sua avventura di governo o se il Paese, dopo due anni, dovrà tornare alle urne.

Il voto, infatti, appare come l’unica soluzione possibile qualora l’esecutivo dovesse cadere. Soprattutto perché il presidente Giorgio Napolitano, che ieri si è autodefinito uno “spettatore” nella crisi che ha investito la maggioranza, difficilmente accetterebbe di affidare le sorti del Paese a una compagine eterogenea che raccoglie da Fini a Di Pietro.



In attesa di sapere cosa dirà (si comincia stamattina alle 9 a Palazzo Madama) i bookmakers del Palazzo puntano tutto sul Cavaliere. Per una serie di motivi. Anzitutto i segnali che arrivano dalle manifestazioni di piazza che Pd e Pdl hanno organizzato in questa settimana.

Il popolo del centrodestra, contrariamente alle aspettative che lo davano deluso e sfiduciato, si è stretto attorno al premier. Secondo l’ufficio stampa del partito sono state raccolte 2 milioni e 300.000 firme a sostegno del governo. Il numero è probabilmente gonfiato in eccesso, ma è indubbio che la mobilitazione c’è stata (a Roma, per citare un esempio su tutti, il Palazzo dei congressi era pieno). E questo è un dato che in chiave elettorale non può far piacere agli avversari del Cavaliere.



Sull’altro fronte c’è Piazza San Giovanni. I Democratici non hanno fallito la prova organizzativa, ma il discorso di Pier Luigi Bersani ha tradito alcune debolezze. Il segretario del Pd non è sembrato troppo convinto dell’effettiva fine dell’esecutivo (non a caso, invece di ostentare sicurezza, a continuato a ripetere il suo "comunque vada") e soprattutto è apparso piuttosto terrorizzato dall’ipotesi di elezioni anticipate.

Il leader democratico infatti ha bisogno di tempo per rendere più solida la posizione del suo partito e fuggire dalla trappola delle primarie che lo vedrebbero contendersi con Nichi Vendola la guida dello schieramento di centrosinistra.



Legati alla "battaglia delle piazze" ci sono i dati dei sondaggi che nelle ultime settimane sono tornati a dare Pdl e Pd in crescita a fronte di un calo di Fli. Ed è qui che si inserisce il secondo elemento che gioca a favore del Cavaliere. Il pallottoliere della fiducia, infatti, sorride al premier.

Non solo per gli ultimi deputati che hanno dichiarato di voler votare a favore dell’esecutivo, ma anche perché le "colombe" finiane hanno reso pubblico il loro disagio aprendo una frattura all’interno dello schieramento raccolto attorno al presidente della Camera.

L’ultimo tentativo di mediazione tra Fini e Berlusconi, portato avanti da Silvano Moffa, ha dimostrato che non tutti sono disponibili a vivere in un partito guidato dai "falchi" Italo Bocchino e Fabio Granata. Difficile sapere quante "colombe" tradiranno Gianfranco (Moffa sembra orientato a lasciare Fli), ma a questo punto il controesodo verso il Pdl appare inevitabile.

Anche per questo oggi Berlusconi dovrebbe usare toni concilianti verso i moderati, ribadendo la sua volontà di proseguire con il programma di governo, discutendo e dialogando con tutti quelli che hanno a cuore il bene del Paese. Nessuna forzatura, nessuna polemica strumentale. Il più è fatto, sarebbe un errore buttare via tutto a un passo dalla meta.