Il giallo della nomina di Aldo Brancher a ministro si tinge di verde. Il giro di parole è d’obbligo visto che, dopo un primo momento in cui il “grosso errore” (la definizione è di Umberto Bossi) sembrava ritorcersi contro Silvio Berlusconi, ora è la Lega a pagare dazio. Le due interviste concesse da Roberto Calderoli a Corriere della Sera e Repubblica non più tardi di tre giorni fa ne sono un esempio concreto. Il ministro per la Semplificazione ha detto senza giri di parole che il Senatùr era a conoscenza di tutto e, anzi, aveva spinto per piazzare Brancher al dicastero dell’Agricoltura spostando Giancarlo Galan a quello dello Sviluppo Economico.

Perché Calderoli ha sentito l’irrefrenabile desiderio di spiegare per filo e per segno il percorso che ha portato a una delle più discusse nomine di questa legislatura? Per giunta chiamando in causa il leader della Lega? Le interpretazioni sono contrastanti. Alcuni sostengono che, in questo modo, Calderoli abbia voluto drammatizzare lo scontro in atto tra le diverse anime del Carroccio per la successione a Bossi. Secondo questa lettura domani, nel corso del consiglio federale convocato dai fedelissimi del Capo, andrà in scena un vero e proprio “processo” al ministro chiacchierone.

Ma la lettura più convincente, almeno per chi si muove all’interno dei palazzi, è però un’altra. La presa di posizione pubblica di Calderoli sarebbe stata sollecitata direttamente da Silvio Berlusconi stufo di doversi difendere dagli attacchi delle opposizioni quando la sua unica colpa era quella di aver assecondato una pressante richiesta della Lega e di Giulio Tremonti.

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Ipotesi peraltro confermata dallo svolgimento dei fatti. Da quando è diventato ministro Brancher ha creato solo problemi al Cavaliere: ha invocato il legittimo impedimento mettendo a rischio lo scudo per il premier e, proprio per questo, ha provocato un calo della fiducia degli elettori. Insomma solo un masochista poteva fare in coscienza una scelta del genere. A meno che non dovesse farlo per liberarsi dalla pressante morsa di qualcuno.

In ogni caso è indubbio che la nomina di Brancher abbia aperto una falla all’interno del Carroccio. Non fosse altro perché la vicenda è stata gestita in tutto e per tutto dall’accoppiata Bossi-Calderoli. E così Roberto Castelli, finito un po’ nell’ombra dopo l’esperienza da ministro della Giustizia tra il 2001 e il 2006, ha colto la palla al balzo per alzare il polverone e rivendicare un maggiore "gioco di squadra". Insomma dalle parti di via Bellerio non tira una buona aria.

E la Manovra, così come è stata concepita, di certo non aiuta. La forza della Lega, infatti, è proprio il suo radicamento territoriale, ma è un po’ difficile catturare la simpatia dei cittadini-elettori aumentando le tasse per far fronte ai tagli. Non a caso dopo un primo momento di titubanza, Bossi si è intestato la trattativa con Tremonti (che ieri sera per tutta risposta lo ha ri-incoronato "ministro del federalismo") per modificare il testo e garantire un maggiore equilibrio. Gli amministratori locali della Lega, esattamente come gli altri, sono in rivolta. E sembra difficile che per placarli bastino i primi vagiti di federalismo. 

 

(di Lamberto Icini)