Saranno anche le parole di un “osservatore” che, dall’alto del suo ruolo istituzionale guarda in maniera distaccata a ciò che succede all’interno del Pdl, ma quelle affidate dal Presidente del Senato Renato Schifani alle pagine del Corriere della Sera sono qualcosa di più di un commento distaccato.

Dietro quella frase (“O si arriva quanto prima a una pace strategica, con un ritorno alle motivazioni dello stare insieme, o sarà rottura traumatica”) c’è molto di più di un giudizio di buonsenso sul rapporto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. C’è l’emergere di una strategia. La stessa che il premier sta portando avanti per cercare di risolvere, una volta per tutte, il problema della minoranza finiana.

Chi ha avuto modo di parlargli racconta che il Cavaliere non ne può più di essere logorato da una piccola parte della sua maggioranza. Vorrebbe rompere, ma non può in alcun modo vestire i panni dell’epuratore. Se qualcuno vuole spaccare il Pdl quello non può essere lui. Così ha cambiato tattica. Invece di difendersi dal dissenso cerca di stanarlo. Privandolo contemporaneamente delle armi di cui dispone.

È questo, in fondo, il senso del “ghe pensi mi” pronunciato appena tornato in Italia, “ghe pensi mi” significa, ad esempio, intestarsi la trattativa con il Quirinale. Non a caso sia il testo sulle intercettazioni che la Manovra stanno procedendo secondo i tempi e i modi fissati da Napolitano. Non a caso, nelle ultime settimane si sono moltiplicate le visite di “ambasciatori” berlusconiani al Colle.

 

Insomma, con buona pace di Fini, il Presidente del Consiglio è tornato adessere interlocutore privilegiato di Giorgio Napolitano. Il messaggio è chiaro: cedere alle richieste del Quirinale, mostrarsi irreprensibile nei confronti della minoranza finiana. Contestualmente è partita l’accelerazione dei provvedimenti parlamentari: blindatura della Manovra e tentativo di chiudere la partita del ddl intercettazioni subito dopo la pausa estiva. Anche qui il messaggio è chiaro: se Fini e i suoi non condividono più il programma di governo votino contro, assumendosi le proprie responsabilità.

In fondo, è il ragionamento che circola all’interno del Pdl, nonostante le sparate sopra le righe di Italo Bocchino, la componente finiana non ha i numeri per far cadere il governo. Votare contro un provvedimento dell’esecutivo, quindi, significherebbe uscire allo scoperto condannandosi all’isolamento.

Terzo fronte aperto da Berlusconi è quello dell’Udc. Chi frequenta i Palazzi della politica giura che non ci sia alcuna trattativa in atto. L’obiettivo è solo quello di far capire che, qualora ci fosse qualcuno disposto a rimettere in discussione l’alleanza di governo, la strada più percorribile è quella di un rimpasto e non certo il ricorso alle urne con la creazione di improbabili terzi poli.

Insomma, Berlusconi ha consegnato la palla nelle mani di Fini che ora è costretto a decidere quale partita giocare: o una pace strategica che rimetta al centro l’azione dell’esecutivo e il programma elettorale del 2008, o una rottura con tutto quello che ne conseguirebbe. Esattamente ciò che ha detto Schifani.

 

Certo, le vicende giudiziarie che stanno coinvolgendo il coordinatore Pdl Denis Verdini rischiano di ridare fiato ai finiani che hanno sempre cavalcato il tema della legalità. Ma l’impressione è che Berlusconi possa risolvere anche questo intoppo (magari chiedendo a Verdini di fare un passo indietro).

Sullo sfondo resta la Lega che si è immediatamente messa di traverso bloccando qualsiasi ipotesi di apertura verso l’Udc. L’impressione è che lo abbia fatto più per alzare il tiro e magari incassare qualcosa che perché veramente preoccupata da un’ipotesi che, per ora, è solo fantapolitica.