Il giorno del giudizio è arrivato. Più volte annunciato, persino desiderato (da alcuni), è arrivato. Silvio Berlusconi ha deciso: il divorzio da Gianfranco Fini deve celebrarsi subito. Già oggi. Anche se c’è chi dice che tutto potrebbe slittare di 24 ore.

Di certo c’è che non ci sono più margini di trattativa. La road map è fissata. Dopo il varo della Manovra (stamattina il voto finale, ndr) il premier convocherà un ufficio di presidenza del Pdl e chiederà di espellere dal partito i fedelissimi del presidente della Camera che più lo hanno attaccato in questi mesi. I nomi sono noti al grande pubblico: Italo Bocchino, Fabio Granata, Renzo Raisi e Carmelo Briguglio. A quel punto sarà guerra.

Il presidente del Consiglio, che non più tardi di tre giorni fa ha fatto diramare una nota ufficiale “preventiva” da Palazzo Chigi per far sapere che non avrebbe commentato le parole di Fini (quelle contro gli indagati Denis Verdini e Nicola Cosentino), potrebbe uscire allo scoperto con un attacco diretto. Magari affrontando il tema della legalità su cui l’ex leader di An ha calcato abbondantemente la mano.

Ma a quel punto il problema sarà tutto politico. A Palazzo Grazioli sono sicuri che Fini non abbia i numeri per aprire una crisi di governo e creare una maggioranza alternativa. In fondo, è il ragionamento, non lo seguiranno neanche tutti quelli che sulla carta sono indicati come finiani. Non a caso Umberto Bossi, che ieri ha di fatto annunciato pubblicamente il divorzio, alcuni giorni fa aveva detto chiaramente che per garantire la maggioranza bastano i voti della Lega e della parte del Pdl fedele al premier.

Ma per tutelarsi da eventuali sorprese, Berlusconi avrebbe già aperto un canale di trattativa con l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Quasi sicuramente i centristi rifiuteranno la proposta di entrare al governo, ma potrebbero sostenere l’esecutivo votando i provvedimenti in Aula o facendo transitare alcuni parlamentari nel gruppo del Pdl.

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In fondo Casini è stato l’unico, all’interno dell’opposizione, a ribadire con forza che oggi qualsiasi ipotesi alternativa all’attuale maggioranza, non può prescindere dal Cavaliere. Nel frattempo il banco di prova di questo rinnovato idillio dovrebbe essere l’elezione dei membri del Csm con l’Udc Michele Vietti destinato alla vicepresidenza.

 

Resta solo un nodo da sciogliere: la posizione di Fini. Il “nemico pubblico numero uno” non può essere espulso dal partito perché, oltre ad essere uno dei fondatori, non avrebbe mai preso la tessera e quindi non può essere portato davanti ai probiviri. Ma non può nemmeno essere sfiduciato da presidente della Camera.

 

La cosa non preoccupa più di tanto i vertici del Pdl e il premier che vuole trasformare il numero uno di Montecitorio nell’unico presidente eletto da una maggioranza di centrodestra e sostenuto da un’opposizione di centrosinistra. Questo, infatti, significherebbe mettere Fini in una posizione di assoluta minorità, anche elettorale.

 

Dopotutto la storia di Follini insegna che è impossibile passare al campo avversario senza pagare dazio. Non va sottovalutato poi il danno di immagine. Oggi l’ex leader di An e i suoi fedelissimi vanno sui giornali perché fanno il controcanto alla linea ufficiale del partito: una volta fuori non farebbero più notizia.

 

Insomma Berlusconi è deciso a non retrocedere di un passo. Gli ex colonnelli di Alleanza Nazionale sono con lui. E anche il tempo è dalla sua parte. Con tre anni davanti senza elezioni di rilevanza nazionale il governo può continuare a lavorare mentre Fini è destinato a un lento e inevitabile logoramento.

 

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In ogni caso il presidente della Camera resta convinto che il Cavaliere non andrà fino in fondo. Per questo non abbassa il livello dello scontro. Ieri Bocchino ha replicato alle parole di Verdini (“Fini non mi ha tutelato”) attaccandolo e chiedendone le dimissioni. Ma chi ha avuto modo di parlare con il presidente del Consiglio giura che quella dei finiani ormai è una speranza vana.

 

Dopotutto, fanno notare, Berlusconi sopravvive solo se mantiene il suo carattere di uomo politico fuori dalla politica. Le mediazioni, le trattative, l’immobilismo sono la sua condanna. Per questo ha deciso di passare all’azione e di lanciarsi nella battaglia. L’ennesima.