Parlare a nuora perché suocera intenda. In queste settimane Silvio Berlusconi ha cercato in tutti i modi di tenere dalla sua parte il Quirinale. Esempio lampante la riscrittura del decreto milleproroghe che ha recepito molte delle osservazioni avanzate dal Capo dello Stato. Il perché è semplice. Il premier sa che Giorgio Napolitano è l’unico che può decidere se e quando portare il Paese a elezioni anticipate. Meglio quindi non creare inutili tensioni. Soprattutto in un momento in cui il governo sta provando, anche grazie a una maggioranza che è tornata ad avere numeri incoraggianti, a rimettere in moto la macchina delle riforme.
Ieri, però, il Cavaliere si è lasciato sfuggire una battuta contro “l’enorme staff del presidente della Repubblica che interviene puntigliosamente su tutto” rallentando di fatto il processo legislativo. Un cambio di strategia? In realtà non è la prima volta che Berlusconi si lamenta del suo scarso potere e del fatto che in Italia il presidente del Consiglio deve subire enormi condizionamenti.
Ma stavolta, dietro le sue parole, sembra esserci dell’altro. A fare andare su tutte le furie il premier, infatti, non è la puntigliosità del Colle quanto il suo silenzio su Gianfranco Fini. Non a caso il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, concludendo il suo intervento in Aula sul milleproroghe, ha attaccato pubblicamente il leader di Fli puntando il dito contro il conflitto istituzionale che la sua posizione comporta.
La critica a Napolitano, quindi, è anzitutto un avvertimento a Fini. Un modo per far capire al numero uno di Montecitorio che non può continuare a giocare due parti in commedia. E il messaggio sembra aver avuto qualche effetto. Certo, il presidente della Camera continua a ribadire che non ha alcuna intenzione di dimettersi, ma nella sua ultima apparizione ieri sera a Otto e mezzo ha evitato di chiederne le dimissioni preferendo rimanere sul terreno della politica.
Fini ha infatti parlato di legalità, di rispetto dei valori della Costituzione e quando gli è stato chiesto della possibilità che il Pdl sollevi un conflitto di attribuzioni in vista del 6 aprile, si è limitato a spiegare che saranno gli organismi parlamentari interessati a valutare il caso. Anche sull’immunità parlamentare e sul processo breve ha preferito sollevare dei rilievi “tecnici” piuttosto che alimentare polemiche con il premier.
Insomma, se da un lato Berlusconi sembra essere tornato quello del ’94 pronto a dare battaglia su tutto, dall’altra Fini sembra essere rientrato nei suoi panni istituzionali. Ma la campagna elettorale per le elezioni amministrative si avvicina…