Ora Mario Monti fa paura. Se meno di un mese fa il Professore sembrava essere il capro espiatorio perfetto su cui scaricare il peso di provvedimenti fortemente impopolari, con il passare delle settimane il clima, fuori e dentro il Parlamento, è profondamente cambiato. E ormai la posizione di chi diceva “lasciamogli fare il lavoro sporco” è stata sostituita da “sbrighiamoci prima che sia troppo tardi”. Troppo tardi per cosa?

I sondaggi in mano a Pd e Pdl danno i due partiti in forte difficoltà. A influire è soprattutto il “fattore tecnico”. Cioè la convinzione, sempre più radicata in larga parte dell’elettorato italiano, che la politica sia incapace di gestire situazioni complesse come quelle attuali.
Insomma con il proseguire dell’esperienza del governo Monti c’è il rischio che i due principali partiti vengano spazzati via. Per questo, negli ultimi giorni, da una parte e dall’altra della barricata si cerca di correre ai ripari. Serve un nuovo protagonismo e il decreto sulle liberalizzazioni rappresenta un ottimo punto di partenza.

Non a caso sia il partito di Silvio Berlusconi che quello di Pier Luigi Bersani hanno già cominciato a fissare paletti e ad annunciare miglioramenti in Parlamento. Monti, dal canto suo, ha risposto invitando a non stravolgere il testo che, comunque, potrebbe essere blindato con il voto di fiducia. Ma la richiesta si è trasformata in un assist per Pd e Pdl. Entrambi, infatti, hanno subito colto la palla al balzo per ribadire la propria centralità.

Il Popolo della libertà, in maniera molto netta, ha fatto sapere di essere pronto a staccare la spina qualora gli venisse impedito di modificare il decreto. Mentre i Democratici, pur con toni più concilianti, chiedono di “rafforzare” le liberalizzazioni.
Ora è chiaro che, in questa partita, il centrodestra ha molto di più da perdere rispetto al centrosinistra. Le norme approvate dal Consiglio dei ministri colpiscono categorie che, storicamente, fanno parte del proprio elettorato. Per questo la difesa è ancora più netta. Così come il tentativo di rimanere sotto i riflettori. Tanto che il Cavaliere, ostentando una sicurezza che serve per nascondere una debolezza, è stato costretto a intervenire nel dibattito politico per dire che la situazione non migliora e che presto verrà richiamato a guidare il Paese.

Ma anche il centrosinistra, in particolare il Pd, ha poco da star sereno. Il perché può essere sintetizzato da una frase pronunciata da Pier Ferdinando Casini: “Né Berlusconi, né Prodi sono mai riusciti a fare tanto”. Non è difficile ricordare che il ministro del governo Prodi incaricato del capitolo liberalizzazioni era proprio Bersani. Certo, il messaggio di Casini lascia il tempo che trova, ma il segretario del Partito Democratico teme che la stessa idea faccia breccia tra i cittadini.

Il che coinciderebbe, probabilmente, con la contestuale esaltazione di colui che si occupa oggi della materia: Corrado Passera. Ed è qui che nascono i problemi.
L’ex numero uno di Banca Intesa da tempo viene corteggiato da una parte del Partito democratico. Da Rosy Bindi ad Enrico Letta, passando per il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Si racconta che quest’ultimo abbia incontrato di recente il ministro del governo Monti per chiedergli di entrare a far parte della sua squadra con cui tenterà la scalata al Pd e, potendo, a Palazzo Chigi, ma il faccia a faccia non avrebbe avuto l’effetto sperato. Passera, infatti, vorrebbe giocare la partita in prima persona e non portare acqua al mulino altrui.

Ma il titolare dello Sviluppo Economico sarebbe anche un nome spendibile per il Pdl e per il Terzo Polo. Quindi un ottimo candidato qualora le strade di Casini e Angelino Alfano tornassero a incontrarsi. E se il primo sarebbe ben felice di lasciare a Passera la poltrona di Palazzo Chigi (lui punterebbe al Quirinale), il segretario del Pdl non sembra intenzionato a lasciare ad altri il posto d’onore.

Anche per questo la partita delle liberalizzazioni sarà decisiva. Tutti devono cercare di intestarsi vittorie e modifiche. Poi, alla fine del percorso, si tireranno le somme. E, magari, si deciderà di andare ad elezioni.