Matteo Renzi, Massimo D’Alema, Angelino Alfano. Tre spine nel fianco di Enrico Letta. Tre mine sulla strada del governo. Partiamo dall’ultima. Stamattina l’aula del Senato dovrà votare le mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione nei confronti del ministro dell’Interno. Le posizioni in campo, nonostante le divisioni, si sono definite. Il Pdl difenderà il proprio segretario, il Pd il proprio presidente del Consiglio e, di conseguenza, il titolare del Viminale.



Eppure nelle ultime ore è cresciuta la possibilità che, alla fine, visto il proseguire della polemica, Alfano possa comunque rinunciare all’incarico di ministro (e mantenere quello di vicepresidente del Consiglio e segretario). È un’ipotesi gradita a molti all’interno del Pd, ma non solo. Da tempo la triplice poltrona dà fastidio ai “falchi” del Pdl. Che potrebbero giocare di sponda con l’ala più intransigente dei democratici per raggiungere l’obiettivo di depotenziare il leader delle “colombe”. In ogni caso è chiaro che, dovesse riuscire a superare indenne la prova di oggi, Angelino è ormai finito sulla graticola. E l’impressione è che ci resterà fino a quando non deciderà di accontentare i suoi avversari.



Passiamo a Renzi. Il sindaco di Firenze ha condotto una vera e propria campagna anti-Alfano. Ancora ieri sera, dopo aver incassato la sconfitta all’interno del gruppo Pd del Senato (i suoi chiedevano di votare la sfiducia ma alla fine si sono divisi e si sono piegati al volere della maggioranza), spiegava in televisione che se il ministro sapeva è grave perché ha mentito, ma se non sapeva lo è ancora di più. Il motivo di tanto “astio” è facile da comprendere. Il problema non è il ministro in sé, ma Letta. E una morsa che, con il passare dei giorni, lo sta lentamente schiacciando. Renzi ha capito che parte del Pd, in accordo con Giorgio Napolitano, sta lavorando affinché l’esperienza del governo duri il più possibile. Per questo ha deciso di accelerare nella speranza che, mettendo in luce le contraddizioni della maggioranza, l’intesa tra il suo partito e il Pdl imploda. Così ha cavalcato la vicenda kazaka e, nelle prossime settimane, aprirà diversi fronti (dalla legge elettorale al finanziamento pubblico ai partiti). Certo, Matteo sa che difficilmente otterrà le elezioni anticipate dal presidente della Repubblica, ma la sua speranza è che la situazione diventi così esplosiva da rendere inevitabile il ritorno alle urne. Magari prima che la Corte costituzionale decida di abolire il premio di maggioranza reintroducendo il sistema proporzionale.



Su questo terreno una mano potrebbe arrivare da D’Alema. Che ormai si mostra disinteressato e lontano dalle vicende italiane, ma in realtà non vede l’ora di tornare centrale nel dibattito politico. Il suo primo obiettivo è spingere Letta ad affrontare alcune priorità: in primis legge elettorale e vicenda esodati. Se il premier gli darà retta il lìder Maximo lo sosterrà, siglando anche un patto in vista del prossimo congresso e delle sfide elettorali future (c’è chi dice che Letta stia pensando ad una propria candidatura in chiave anti-Renzi per la premiership del centrosinistra). Se invece l’esecutivo continuerà a galleggiare, allora D’Alema sarà tra quelli che gli staccheranno la spina. Perché Napolitano ha chiuso, almeno per ora, la finestra elettorale autunnale. Ma la primavera è vicina. E il lìder Maximo lo ha detto ieri sera alla festa dell’Unità di Roma: “Il governo può arrivare alle europee del 2014, forse anche al 2015, ma non può durare oltre”. Letta è avvisato.