Ormai è una costante di questo 2013. Almeno per quanto riguarda il dibattito politico italiano. Ogni volta che si apre una crisi tutti alzano lo sguardo verso il Quirinale. Dopotutto, senza la scelta di Giorgio Napolitano di accettare la conferma alla presidenza della Repubblica, non ci sarebbero stati né l’eccezionale governo Letta, né la bagarre di questi giorni. Ma ora la situazione è più complicata. I margini di manovra del Capo dello Stato si sono notevolmente ridotti. Anche lo spauracchio delle dimissioni sembra non avere più molto peso. Il ragionamento è semplice: se Napolitano ha accettato la rielezione per senso di responsabilità nei confronti del Paese (e in seguito al pressing dei nostri partner europei e internazionali), un’eventuale fine prematura dell’esecutivo lo spingerebbe a restare per evitare danni ulteriori, non certo a mollare.
Forse per questo stavolta, a differenza del passato, chi guarda al Colle lo fa con la certezza che l’obiettivo del presidente sia sempre quello di evitare il voto anticipato, ma che questa ipotesi non sia più un tabù. Cioè posto che difficilmente la maggioranza riuscirà a reggere fino al 2015, comincia a farsi strada la possibilità che si torni alle urne nella primavera del 2014. Da qui la necessità di arrivare almeno fino a dicembre senza che la situazione precipiti ulteriormente. Già, ma come? Ieri, dopo l’incontro di lunedì tra i capigruppo del Pdl e il Capo dello Stato, in molti hanno parlato (e scritto) di una sorta di “patto” che vedrebbe Napolitano impegnato a trovare una soluzione per garantire “l’agibilità politica” di Silvio Berlusconi. Un “salvacondotto” che convincerebbe il Cavaliere a non togliere la propria fiducia al governo. Marzio Breda, sul Corriere della Sera, si è spinto fino al punto di spiegare che il presidente ha suggerito a Brunetta e Schifani di passare attraverso il Parlamento utilizzando la riforma della giustizia.
Il Quirinale ha immediatamente smentito la ricostruzione concentrandosi soprattutto sull’articolo di Breda (forse perché il Corriere è anche il quotidiano da cui proviene l’attuale portavoce del Colle): nessuna posizione definita, il Capo dello Stato “si augura che non si eserciti su di lui, attraverso interpretazioni infondate e commenti intempestivi, un’intrusione in una fase di esame e riflessione che richiede il massimo di ponderazione e serenità”.
Insomma, Napolitano non vuole essere descritto come il “salva-Silvio”. Lo ha già detto chiaramente quando circolava l’ipotesi di richiesta della “grazia”. E non retrocederà da questo punto. Se ci sarà un intervento il Quirinale sarà spettatore, non certo protagonista. Così tutto si fa più complicato. Anche perché non bisogna dimenticare che il Pd non può in alcun modo avvalorare misure a sostegno del Cavaliere. Sarebbe come firmare la propria condanna a morte. E c’è chi è pronto a giurare che, qualora l’argomento venisse sollevato in Parlamento, a quel punto sarebbero i Democratici ad aprire la crisi (e forse è proprio questa la speranza di Berlusconi).

Certo, per il Pdl è comunque importante che il presidente stia “riflettendo”. Per questo, quando ieri Beppe Grillo è partito all’attacco del Colle, gli esponenti del centrodestra hanno fatto a gara per vestire i panni dei “corazzieri”. Ma chi lo conosce bene è pronto a giurare che quello di Napolitano sia solo un modo per prendere tempo e allontanare definitivamente la possibilità di elezioni anticipate in autunno. Molto dipende anche dai risultati che il governo riuscirà a centrare da qui ai prossimi mesi. Se i timidi segnali di ripresa diventassero più consistenti, infatti, sarebbe più difficile far cadere Letta. Altrimenti l’obiettivo minimo è arrivare a dicembre, magari con in tasca la riforma della legge elettorale, quindi si potrà andare al voto.