Mario è un uomo di 43 anni, originario delle Marche e – da un decennio – tetraplegico e immobile. Ora chiede di morire come dj Fabo, ma in Italia, perché l’ultima immagine che vuole avere prima di chiudere gli occhi è quella di casa sua. A raccontare questa delicata pagina di cronaca del nostro Paese è il “Corriere della Sera”, sulle cui colonne si legge che ad agosto 2020 l’uomo aveva ottenuto il consenso dalla Svizzera, dove la dolce morte è consentita. Tuttavia, ha deciso di provare a conquistare il medesimo benestare nel suo Paese: “Pur rimanendo qui immobile, ho capito che in questi mesi ho fatto una cosa grande”.



“Adesso che siamo arrivati all’ultimo pezzettino di strada, non posso arrendermi – ha proseguito –. Che mi dicano se posso accedere oppure no al farmaco letale. Però, se dicono di no, devono dirmi anche perché”. Nel servizio si legge che, dopo un anno di vicissitudini legali, a settembre la sua azienda sanitaria (l’Asur Marche) ha disposto le visite mediche per stabilire se lui abbia i requisiti per accedere al suicidio assistito. A casa sua si sono presentati “i primari di rianimazione, neurologia, cure palliative, psichiatria, il medico legale, la psicologa, l’infermiere e il medico di famiglia che lo seguono da anni, la dirigente del servizio domiciliare”. Tocca ora al Comitato etico regionale pronunciarsi sul suo destino.



MARIO: “VOGLIO MORIRE COME DJ FABO”, MA IL COMITATO ETICO NON HA ANCORA DECISO

Intanto, come riportano ancora i colleghi del “Corriere”, dopo le visite, lo scorso 14 ottobre la relazione dei medici è stata inviata al Comitato etico, che non ha ancora fatto pervenire risposte. Di conseguenza, gli avvocati del 43enne hanno mandato una diffida all’Asur per chiedere quanto prima una risposta (ma l’azienda ha fatto sapere di essere a sua volta in attesa della decisione del Comitato, ndr), dichiarandosi pronti a fare ritorno davanti al giudice per arrivare al verdetto che loro si attendono.



Mario, intanto, aspetta, consapevole di essere il primo italiano ad avere domandato alla propria azienda sanitaria di applicare la sentenza della Corte Costituzionale che si esprimeva sul caso di dj Fabo, immobile e cieco dopo un incidente stradale e quindi accompagnato in Svizzera per il suicidio assistito da Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni. Giova ricordare che la Corte aveva ritenuto incostituzionale e non punibile il reato di aiuto al suicidio di cui fu poi accusato Cappato.