Tre fabbriche da chiudere, un taglio dei costi da 4 miliardi di euro, una riduzione del 10% degli stipendi e un congelamento dei salari per il 2025 e il 2026. La cura choc della Volkswagen per far fronte alla crisi (anche se sono in corso trattative per scongiurare almeno la fine dei tre siti industriali) è molto più pesante di quanto ci si aspettasse e fa presagire decisioni simili anche per altri marchi europei dell’auto. Con conseguenze anche per la componentistica italiana, che lavora molto proprio per Volkswagen. Quello che serve, spiega Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, non è solo rimandare a dopo il 2035 il passaggio all’auto elettrica, ma una revisione totale dei piani della UE che però continua imperterrita a difendere i suoi provvedimenti. Il mercato automobilistico intanto ha già perso il 20 per cento e i cinesi sono sempre più aggressivi. Il futuro, con queste premesse, sarà sempre peggiore.
Si era parlato di possibili chiusure, ma ora questo piano per la Volkswagen è veramente pesante. Un cattivo presagio per tutto il settore dell’auto?
Un brutto segnale per la Volkswagen ma anche per tutta l’industria europea. Nell’annuncio precedente si parlava della chiusura di due fabbriche, ora siamo passati a tre e alla riduzione degli stipendi. Siamo in una situazione molto difficile. E Volkswagen non è l’unica azienda che la deve affrontare, basta pensare a Stellantis. Sono le conseguenze di una transizione energetica sbagliata, che ha aperto la strada alla penetrazione dei cinesi e creato una serie di difficoltà alle nostre aziende: l’auto elettrica costa molto, la gente non la vuole, mentre le case automobilistiche sono state costrette a forti investimenti dovendo subire anche delle multe nel caso in cui non vengono rispettati alcuni parametri, relativamente a quanto inquinano le macchine messe in vendita e a quanto inquinano poi quelle effettivamente vendute. Multe che nel 2025 potrebbero arrivare a 18 miliardi.
Tutto questo cosa ha causato?
Alla fine questo ha portato a un forte aumento dei prezzi e a un’ulteriore pesante remora sulle vendite. Le conseguenze sono queste: l’industria dell’auto europea è in seria difficoltà. Vale anche per la componentistica, un settore molto importante per l’Italia: quando vediamo un’auto viaggiare sulla strada sappiamo che probabilmente ha almeno un componente realizzato nel nostro Paese.
La rinuncia di Volkswagen a tre siti industriali, quindi, avrà una ricaduta diretta su di noi?
Il taglio di tre fabbriche significherà meno lavoro per la componentistica italiana. Poi rimane da sciogliere il nodo dei dazi. La UE per frenare l’invasione del mercato ha aumentato di molto i dazi nei confronti dell’elettrico cinese, ma Pechino vuole rispondere aumentando quelli sulle importazioni di auto di lusso dall’Europa, colpendo pesantemente l’industria europea. Un provvedimento, questo, adottato proprio contro il parere della Germania, che possiede la più grande quota del comparto automobilistico continentale.
Volkswagen è solo la prima di una serie di società del settore che dovrà rivedere i suoi piani al ribasso? Audi, per esempio, chiuderà la fabbrica di auto elettriche di Bruxelles.
Volkswagen è una grande industria, se è in crisi vuol dire che ci sono tante altre aziende in difficoltà, situazioni già dichiarate o che lo saranno in seguito. Stellantis non dovrebbe più realizzare la giga factory di Termoli per le batterie: questo è già un segnale.
Qual è la prima cosa da fare per invertire la tendenza?
Il problema non è neanche di rivedere il calendario della transizione energetica, occorre ridisegnare tutto l’impianto. Non basta spostare la scadenza per produrre le vetture endotermiche oltre il 2035, bisogna tornare alla “normalità”. Nel mondo solo UE e Regno Unito hanno puntato solo sull’auto elettrica, dalle altre parti nessuno pensa di mettere al bando le vetture a combustione interna. Negli USA ci sono forti incentivi per le macchine elettriche, ma senza mettere al bando le altre. Per la Cina, invece, la motorizzazione di massa è partita in questo secolo, hanno cominciato subito con l’auto elettrica: per i cinesi questa è l’automobile. Non è così né per gli europei né per gli americani. La California ha cominciato diversi decenni fa con le auto elettriche, ma le vetture tradizionali circolano ancora oggi.
La Ribera, nuova responsabile per l’ambiente della Commissione UE, e il vicepresidente Dombrovskis, hanno annunciato che sostanzialmente Bruxelles non cambierà i dettami del green deal. Una decisione suicida per l’automotive europeo?
Non mi pare che ci siano le condizioni perché modifichino le posizioni, per passare da un ambientalismo ideologico a un ambientalismo razionale. I verdi, d’altra parte, sono rimasti in maggioranza, anche per colpa del governo italiano, che poteva votare per la Von der Leyen facendo in modo che non fossero più determinanti. Un segnale di cambiamento, comunque, c’è: fino a qualche tempo fa parlare male dell’auto elettrica era come bestemmiare lo Spirito Santo, che è l’unico peccato che non si può perdonare; adesso le critiche vengono da più parti, coloro che affrontano la questione in termini razionali sono molti di più.
Il fatto che Volkswagen e altri marchi dovranno ridurre le fabbriche e l’occupazione vorrà dire che ci sarà più spazio per l’arrivo dei cinesi in Europa?
È uno spazio che al momento non c’è: il mercato è sceso a livelli tali che oggi sia sistematicamente al di sotto del 20% rispetto al periodo precedente alla crisi: un quinto del mercato non c’è più. Quindi c’è anche meno spazio perché i cinesi vengano qui a produrre. O comunque è un aspetto da valutare: il governo italiano si è speso molto per avere un impegno dei cinesi a venire a produrre in Italia, anche se per il momento non mi sembra che siano stati raggiunti risultati.
Fino a quando la UE non cambierà strada la situazione rimarrà questa?
Devono accorgersi che il re è nudo. Molti prima temevano di far brutta figura sostenendo posizioni non condivise sull’elettrico, imposte dal conformismo generale. Ma ora le contraddizioni sono emerse: anche gli incentivi restano inutilizzati e il mercato complessivamente in tutti i Paesi della UE si è ridotto.
(Paolo Rossetti)
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