È spesso difficile giudicare cosa succeda effettivamente in Europa, perché in larga parte – non potendo avere un’informazione diretta – bisogna fidarsi di quanto riportato dai corrispondenti o dalle agenzie di stampa. Fonti che spesso sono più o meno di parte, anche se in generale nei confronti della presidente Ursula von der Leyen c’è certa accondiscendenza e simpatia.



Ne sono stati una prova i commenti molto positivi che hanno accompagnato la presentazione dei nuovi commissari europei, frutto di una scelta che è stata presentata come vincente e ponderata lodando la von der Leyen per le sue qualità di mediatrice, ma sorvolando sulle tensioni interne non ancora risolte.

In realtà la presidente è stata soprattutto molto abile a far quadrare un cerchio che sembrava quasi impossibile, godendo del fatto che – una volta eletta – è quasi impossibile farla decadere, anche se non è detto che la squadra arrivi al traguardo cosi come è stata annunciata.



Difficoltà territoriali, politiche, di equilibri, con la necessità soprattutto di essere poi in grado di controllare tutti e di non farsi sommergere sia dai problemi che – soprattutto – dalle dinamiche interne dell’eterogenea maggioranza europea, oltre che dalle singole necessità di visibilità di ogni governo nazionale.

Mettere insieme le aspettative e le richieste di tutti era un compito arduo che la von der Leyen ha risolto moltiplicando i compiti e spezzettando i vari dicasteri in modo che tutti potessero dire alla fine di aver portato a casa una buona fetta delle rispettive richieste di partenza. Questo era l’obiettivo, perché ogni governo deve poter sempre rivendicare il risultato raggiunto a livello di opinione pubblica interna. Il caso italiano lo dimostra: bene Fitto “vice-presidente esecutivo”, salvo poi scoprire che sono in 6 con la stessa qualifica rispetto ai 3 della Commissione precedente.



Il risultato è che però quasi tutte le deleghe non sono chiare e tantomeno autonome, ma interdipendenti e mischiate con altre, con il rischio non solo che si moltiplichino i conflitti interni, ma che i vari dossier abbiano vite procedurali complicate e più lunghe dovendo passare tra uffici e competenze diverse.

Un aspetto che gli aficionados della presidente si sono ben guardati dal sottolineare, ma che sono obiettiva realtà.

D’altronde la von der Leyen non poteva fare molto di più, dovendo contemperare le indicazioni dei 26 partner, i sottili equilibri politici di una maggioranza composita già rissosa del suo, le differenze di genere, il “peso” dei singoli Paesi, l’equilibrio nord-sud ed est-ovest, l’irritazione francese e via dicendo. Il fatto poi che vi siano appunto ben sei vice-presidenti “esecutivi” richiama molto il metodo italiano di quando – dovendo applicare il “manuale Cencelli” tra più partiti – si inventò la figura del vice-ministro che valeva meno di un dicastero, ma più di un sottosegretariato, almeno (e sostanzialmente) solo nell’altisonanza del titolo.

Il punto fondamentale è che applicando l’antico concetto del “divide et impera” alla fine proprio la presidente recupera autorevolezza e visibilità personale, potendo in pratica dire la sua su tutti gli argomenti ed estendere così il proprio potere di mediazione.

Intendiamoci, la polvere è solo nascosta sotto il tappeto ed uscirà soprattutto quando dalle belle parole si passerà ai fatti, ad esempio sui dossier economici ed energetici, quando cioè sarà il momento di concretizzare i tanti slogan di una transizione energetica che più va avanti più incespica in ostacoli, opposizioni e trabocchetti.

L’equilibrio più difficile per la von der Leyen sarà comunque di carattere politico, ovvero tenere unita la propria maggioranza, che è composita e per certi versi antitetica e si dimostrerà fatalmente “a composizione variabile”.

Il passo verso l’Italia e verso Fitto deve proprio intendersi come la creazione di un credito verso il gruppo dei conservatori (ECR) e con la stessa Meloni che potrebbero fungere da stampella in caso di divisioni tra PPE e sinistra su singole tematiche e sulle quali i voti dei deputati di centro-destra potrebbero prendere il posto di verdi o liberali.

Un bel voto di scambio, che certamente alla sinistra non piace, perché – a parte il dramma interno del PD se votare o meno Fitto – farebbe perdere alla sinistra un bel potere condizionante verso la presidente.

Per questo l’approvazione dei singoli commissari non è scontata, anche se in Europa non c’è il voto di fiducia e la Commissione non decade pur se venissero respinti i singoli provvedimenti.

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