“In questi giorni osserviamo un fatto simbolico, diventato strutturale. Cioè che la Cina dà le carte come le danno gli Stati Uniti a livello globale. Una cosa che fino a sei mesi fa non era scontata. In questi giorni abbiamo il primo ministro spagnolo Sánchez che va a Pechino, così come il presidente indonesiano, il ministro degli Esteri giapponese, Macron e la Von der Leyen, il presidente brasiliano Lula”.
Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, spiega così il ruolo che la Cina ricopre ormai a livello mondiale. In questo contesto si inquadra la visita di questa settimana di Ursula Von der Leyen ed Emmanuel Macron, che vanno a Pechino per parlare di economia ma anche della guerra in Ucraina. Con sullo sfondo gli Usa, il grande nemico del Dragone, che però è alleato degli europei, anche se la Ue ha altri interessi rispetto agli americani.
Professore, il mondo intero va a Pechino.
Nello scacchiere geopolitico complessivo è la rappresentazione plastica che non ci sono soltanto gli Stati Uniti a dar le carte nel mazzo della globalizzazione.
I cinesi sembrano raccogliere i frutti di una politica estera che negli ultimi anni è stata molto intraprendente. È esatto?
Sì. Sono molto pragmatici, stanno facendo leva sulla loro forza economica. La Cina è la seconda economia del mondo e il primo mercato per molteplici categorie merceologiche. Si ha voglia di dire che poi ci si ricompatta in Occidente; intanto le imprese devono continuare a lavorare e a occupare persone.
Comprese quelle americane.
Sono le prime: Apple fa quasi la metà dei suoi profitti in Cina. Comunque da un lato c’è il tema economico, dall’altro c’è un cambio di politica estera varato da Xi Jinping, che soprattutto nei confronti dei Paesi non allineati è ammiccante, nel senso che a differenza degli Stati Uniti la Cina dà soldi e supporta senza chiedere in cambio valori e democrazia, che in alcuni Paesi fa comodo.
In questo contesto come si pone il viaggio di Von der Leyen e Macron?
È un viaggio che compiono i due massimi rappresentanti europei, perché Scholz non è la Merkel e la Germania non ha la forza che aveva qualche mese fa e negli anni precedenti. Il viaggio è un fatto positivo. Ho sempre criticato in questi mesi l’assenza di una politica autonoma dell’Europa rispetto agli Usa: è solidale come valori con gli Stati Uniti, ma gli interessi europei non sono quelli americani.
Come può la Ue affermare una linea autonoma?
La forza che l’Europa potrà avere con Pechino dipenderà dalla capacità di rimanere unita. Il rischio è il solito, quello della frammentazione. Se Macron e la Von der Leyen riusciranno, anche al loro ritorno, a mantenere compatto il fronte europeo, credo che la missione possa essere importante, perché l’Europa è la più grande area di esportazione della Cina. Rimanendo compatti di fronte ai pragmatici cinesi abbiamo delle carte da giocare, perché la Cina, a dispetto di quello che alcuni dicono, ha molto bisogno dell’export. In questo momento è internamente debole: ha una crisi immobiliare importante, ha una domanda interna che non si sta riprendendo come auspicato, quindi ha bisogno del motore dell’esportazione.
Il fatto che abbia bisogno dell’Europa è uno dei motivi per cui ha presentato un piano di pace per l’Ucraina?
Il paper sulla pace è l’altro elemento per cui la Cina simbolicamente ha voluto rappresentare che dava le carte, in pratica dicendo: abbiamo presentato noi il primo documento di questo tipo, gli americani non hanno presentato nulla. La Cina ha una prospettiva di neutralità filorussa: con la Russia, d’altra parte, ha 4mila chilometri di confine.
Un rapporto con la Russia, anche per questo, la Cina deve averlo per forza.
Certamente. Dall’altro lato però mantiene la neutralità, perché l’Europa è troppo importante per la Cina. Tornando alla missione, l’Europa se mantiene compattezza e se ha un proprio disegno è un interlocutore credibile per i cinesi. L’operazione che ha portato avanti Putin è per loro non favorevole: perché ha in parte ulteriormente pregiudicato l’immagine della Cina rispetto all’Europa e perché la Russia si sta progressivamente indebolendo, e una Russia troppo debole non è utile.
Che cosa intende?
La Cina ha convenienza ad avere una Russia non troppo forte ma non troppo debole. La guerra ha attratto la Cina prevalentemente in un’orbita russa dal punto di vista della posizione rispetto al conflitto, ma ha compromesso alcuni rapporti di Pechino nell’Indo-Pacifico, fondamentale per l’esportazione di tutti i prodotti via mare che vanno verso l’Europa.
Con quali Paesi ha compromesso i rapporti?
Indonesia, Thailandia, Filippine sono tutti Paesi che insistono sul Mar cinese meridionale, che è l’area in cui, attraverso lo stretto di Malacca, transitano il 90% delle merci cinesi destinate all’Europa. Stretto di Malacca in cui le acque si stanno complicando, perché questi Paesi non hanno gradito il quasi-appoggio cinese alla Russia.
Quindi la guerra non rovina solo i rapporti di Pechino con l’Europa, ma anche quelli nell’Indo-Pacifico.
Esatto. Non a caso Zelensky, in modo scaltro, continua a invocare la Cina. Alla fine, quello che crede di più alla Cina è proprio lui. Ha capito che Pechino è un interlocutore realmente interessato al termine della guerra. Questo conflitto è arrivato 15-20 anni prima di quello che serviva alla Cina: non è vero che in questo momento ha voglia di contrapposizione totale, non se la può permettere perché non è autonoma su molti fronti tecnologici. Con la Russia ha 4mila chilometri di confine, sono autocrazie, accomunate da una visione anti-americana: questo ha obbligato Xi a recitare una parte in commedia.
Cosa chiederà la Cina all’Unione Europea e cosa viceversa chiederà l’Europa a Pechino?
Con i cinesi è sempre una questione di scambio, dalla piccola operazione commerciale alla grande operazione internazionale. È quasi certo che noi non sapremo che cosa si diranno, perché i cinesi chiederanno riserbo. Gli europei vorranno una maggiore assertività nei confronti di Putin, nell’andare quanto meno verso una tregua, e lo chiederanno perché la Cina ormai rappresenta il 40% dell’export e il 30% dell’import della Federazione Russa. Di fatto la Russia dipende totalmente dalla Cina.
Invece dall’altra parte l’Europa cosa si sentirà dire?
I cinesi chiederanno di avere la possibilità di continuare ad esportare come hanno fatto finora, ma nel contempo di avviare scambi di conoscenza.
Dal punto di vista tecnologico?
Sì. Certamente non sono così ingenui da andare su tecnologie supersensibili, ma certamente dicono: portiamo avanti gli scambi commerciali coerentemente come abbiamo fatto negli ultimi decenni. Chiederanno certamente di continuare a investire in Cina come è stato fatto fino adesso, come hanno fatto ad esempio le aziende tedesche: Basf, ad esempio, ha realizzato un insediamento chimico da 10 miliardi di euro.
In queste settimane l’Europa ha deciso che dal 2035 punterà sulle auto elettriche, ma le materie prime per realizzarle le ha in mano la Cina. La nostra dipendenza da loro sarà sempre più grande?
Ho citato il grande pragmatismo dei cinesi, ma questa domanda mi porta ad un’altra considerazione, sul livello di astrattezza della politica europea: l’Europa in nome di principi super-condivisibili vara misure di attuazione del tutto incoerenti. Fissare al 2035 quel tipo di obiettivo significa che scommetti nei prossimi dieci anni sulla capacità di sviluppare tecnologie alternative a quelle delle batterie al litio che oggi prevalgono, perché se non cambiassimo tecnologia saremmo dipendenti dai cinesi che hanno l’85% dei diritti di produzione di litio nel mondo. L’Europa a volte vive di principi pienamente condivisibili ma che poi sono impossibili o controproducenti da scaricare a terra.
Dovremmo imparare dai cinesi ad essere più pragmatici?
Sì, dovremmo essere un po’ più pragmatici. È chiaro che la direzione è straordinariamente condivisibile, ma occorre un pian di fattibilità, perché se poi passiamo dal gas russo al litio cinese non è che cambi molto. Solo che c’è una differenza: la Russia è un Paese insignificante dal punto di vista economico nel mondo, la Cina ha le caratteristiche che sappiamo.
Se la Cina attaccherà Taiwan non potremo fare verso Pechino un embargo come quello messo in atto con i russi.
No, esatto. Comunque sia, penso che questa missione abbia degli aspetti davvero di interesse: l’Ue nella congiuntura attuale è davanti a un bivio dovuto al fatto che il livello di pressioni è talmente alto che o l’Europa si spacca o diventa adulta, un soggetto politico con un esercito, con una politica estera, quindi con una sua maturità politica. Non può rimanere ad assetto dato.
I cinesi cercano nell’Europa un partner più affidabile degli Stati Uniti?
Nel loro pragmatismo hanno sempre cercato di applicare il divide et impera. Nella prospettiva cinese è molto preoccupante il livello di compattezza che c’è stato in questi dodici mesi tra Ue e Usa. Cercheranno di giocare questa partita ma ancora una volta la capacità dell’Europa di rimanere unita rende più forte l’Europa e anche la sua posizione con gli Stati Uniti. Pur in un quadro di oggettiva contrapposizione tra il blocco americano e il blocco cinese, le condizioni sono tali (penso a Taiwan, penso all’Ucraina ma non solo) che sarebbe sensato tornare a una politica di confronto, di dialogo, senza una continua esasperazione dei toni. Da entrambi le parti. Un innalzamento dei toni che è frutto di due debolezze interne, quella americana e quella cinese.
I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono proprio ai minimi storici? Si dice che una guerra tra di loro nei prossimi anni sarà quasi inevitabile.
Sia Biden che Xi Jinping sono consapevoli che la piega che ha preso il confronto tra i due Paesi è sbagliata. Ma sono imprigionati in una parte che loro stessi hanno creato. Biden in vista delle elezioni deve far vedere che i democratici non sono meno duri dei repubblicani rispetto alla Cina. Xi Jinping ha bisogno di un nemico esterno per compattare la società cinese che in questo momento non respira più quell’ottimismo che respirava qualche anno fa.
Tutto questo, però, alla fine li porta allo scontro.
Sì. Purtroppo, quel satellite spia abbattuto dagli americani è stato veramente un disastro, perché era in corso una manovra di avvicinamento. Auspico che nei prossimi mesi si trovi l’occasione, il pretesto per abbassare i toni. Serve a entrambi.
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