È tornata alla ribalta della cronaca la proposta di abbassare a 16 anni l’età minima per il voto alle elezioni nazionali e locali. La prospettiva di dare ai sedicenni il voto non è nuova. Lanciata da Veltroni nel 2007, fu fatta propria dalla Lega nel 2015, poi nel 2016 da Beppe Grillo e sostenuta dal Movimento 5 Stelle senza tuttavia un effettivo seguito. La grande adesione alle manifestazioni per l’ambiente degli under 18 ha portato alla ribalta – e non solo in Italia – il protagonismo dei più giovani e, indirettamente, fornito l’ulteriore spinta ad abbassare l’età del voto nazionale.



Si è, dunque, soltanto riaperta una discussione già più volte avviata e interrotta sostenuta da ragioni in prevalenza favorevoli basate su alcuni luoghi un po’ scontati del tipo “i giovani sono maturi”, “sono meglio degli adulti”, “sono loro il futuro” e altri analoghi. Se si sta alla realtà dei fatti la questione appare invece assai più complessa. Proviamo a delineare il variegato scenario nel quale si colloca la proposta del voto ai più giovani.



1) Le motivazioni che la sostengono non sono univoche. La prima è di carattere sociopolitico: si tratterebbe di bilanciare l’invecchiamento del voto dovuto al prolungamento delle prospettive di vita degli anziani con una iniezione di voto giovane per scongiurare il rischio che le generazioni più anziane compiano scelte “egoistiche” a danno di chi viene dopo. Una seconda tesi si potrebbe definire della “gioventù idealizzata”: i giovani e giovanissimi sarebbero portatori di valori genuini fortemente legati al futuro della loro vita con particolare riferimento al clima, alla sostenibilità dello sviluppo, all’impiego delle risorse naturali del pianeta. La loro mobilitazione contribuirebbe a includere con maggiore forza dell’agenda politica queste tematiche. La terza, infine, è di natura in un certo senso educativa: sollecitandone il coinvolgimento attivo, gli under 18 sarebbero spronati ad assumere delle responsabilità e a condividere direttamente gli oneri della cittadinanza. Non a caso molti dei sostenitori del voto politico a 16 anni pensano a una fase preliminare esercitata nelle consultazioni amministrative.



2) Attualmente il voto ai 16-17enni costituisce un fenomeno molto circoscritto. Secondo il CIA World Factbook, la pubblicazione annuale della Central Intelligence Agency che riporta i dati statistici fondamentali e una sintesi di informazioni riguardanti tutti i paesi del mondo esso è previsto, per quanto riguarda l’Europa e le elezioni nazionali, soltanto in tre paesi: Austria, Grecia e Malta. Anche nel resto del mondo di tratta di una scelta che interessa pochi casi, cinque in America Latina (Argentina, Brasile, Cuba, Ecuador e Nicaragua) e pochi altri in Asia. Se si considerano anche le votazioni locali lo scenario è lievemente più mosso: dal 2011 in Germania i sedicenni di alcuni Land partecipano alle consultazioni locali, in Bosnia, Croazia, Serbia e Slovenia si può votare a 16 anni se si lavora, in Ungheria si può andare alle urne se a quell’età si è già sposati. Anche in qualche cantone svizzero e in Scozia è previsto il voto under 18 a determinate condizioni. Negli Stati Uniti, infine, il voto ai 17enni è consentito solo in alcuni Stati, ma limitatamente alle votazioni primarie. In sintesi: l’abbassamento dell’età elettorale sotto i 18 anni costituisce un’opzione non generalizzata.

3) Nel caso si decidesse di intraprendere questa via In Italia i votanti aumenterebbero di circa 1,1 milione (tanti quanti sono i 16-17enni) con un’incidenza del 2% del totale, una modesta lievitazione che non è certo in grado di riequilibrare l’invecchiamento fisiologico degli elettori.

4) I ragazzi italiani non sembrerebbero particolarmente interessati all’eventualità di un loro rapido accesso al voto. Almeno questa è il risultato di un sondaggio raccolto da ScuolaZoo (un sito molto visitato dai giovani) che ha raccolto l’opinione di 72mila ragazzi. Il 79% è contrario alla proposta di abbassare l’età minima del diritto al voto, l’81% pensa che i giovani non siano abbastanza informati per esprimere una scelta matura, il 76% si dichiara convinto che il voto giovanile non contribuirebbe comunque a portare alla ribalta le loro aspettative. Molto severo il giudizio sull’ora di educazione civica da poco reintrodotto nella scuola italiana: per l’87% dei partecipanti essa non contribuisce a costruire una coscienza e conoscenza civica.

Conferma giunge da un altro sondaggio condotto dal sito Skuola.net secondo cui la prospettiva di andare alle urne prima dei 18 anni non convince: solo il 37% crede sia una buona idea (il 63% la boccia). Ancora più netta la bocciatura di chi per il debutto con il voto ci è appena passato, i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Potendo tornare indietro, se venisse loro offerto di votare in anticipo, di certo non esulterebbero: quasi 9 su 10 si dicono contrari. Un’analoga tendenza era stata rilevata già nel 2011 dall’indagine compiuta Centro interdipartimentale di ricerca sul cambiamento politico dell’Università di Siena. I dati raccolti tra i giovani stessi sono sostanzialmente analoghi: coloro che ritengono che un abbassamento dell’età minima di voto possa rendere i giovani più attivi sono appena il 36% tra gli individui di età compresa tra i 15 e i 17 anni e l’11% tra coloro con un’età tra i 18 e i 24 anni.

Questi dati sembrerebbero indicare che tra i giovani non c’è molto interesse per il voto politico. Questo dato è meno sorprendente di quanto si potrebbe credere e riflette purtroppo la medesima e diffusa sfiducia che si può cogliere verso la politica tra gli adulti. Siamo sicuri che la via migliore per contrastare questo fenomeno sia la scorciatoia del voto ai 16enni?

Oppure è meglio interrogarsi se per invertire la disaffezione giovanile non sia il caso di guardare la questione sotto un altro punto di vista e considerarla in relazione al bisogno di educazione alla politica. Come è possibile che la maggioranza dei ragazzi non sappia chi sono, per esempio, le massime autorità della Repubblica o come funziona il Parlamento?

Queste e molte altre lacune manifestano la grave debolezza della scuola nel veicolare le più semplici nozioni costituzionali, i valori di cittadinanza, di partecipazione, di solidarietà, come dimostra la vicenda dell’educazione civica scomparsa per molti decenni dai programmi scolastici. E forse si potrebbe anche cominciare a pensare che al di là della scuola ci sono anche le praterie aperte e spesso poco abitate delle opportunità messe a disposizione dalle organizzazioni del volontariato e dell’associazionismo giovanile per avviare i ragazzi e i giovani a scoprire e a misurarsi con il bene comune, il vero sale – purtroppo da molti dimenticato – della politica con la P maiuscola.

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