Qualcuno ha proposto il voto ai sedicenni. Glielo si potrebbe pure dare. Ma se intanto togli ai giovani la speranza, con un anno di menzogne di scienziati, politici etc., a che serve? Se gli concedi il diritto di voto, ma intanto gli togli la voglia di sperare, di costruire, avendo gettato un anno di infelicità, di vuoto, di accusa d’essere untori, di prese in giro su una “scuola a distanza” o su banchi a rotelle, e ovviamente l’offerta di tante serie televisive e Sanremi piumati e furbetti, insomma, se li hai presi per il culo per un anno, e strozzato i cuori, puoi pure concedere ai giovani italiani il voto a sedici anni, ma non hai fatto nulla. Se non forse, diventando essi bacino elettorale, obbligare finalmente il collo rigido e le impettite retoriche delle “Autorità dello Stato” a guardare in giù dove ‘sti nostri ragazzini si disfano di pastiglie, di musica di merda, di TikTok, di genitori scoppiati, di solitudine iperconnessa e contemporanea, e però tremanti di desiderio, ricchi di talento, ardenti di dire al mondo “eccomi”.
La sfida è attraverso quali argani, quali meravigliose gru di pazienza e dedizione, attraverso quali intonazioni di canti, lanci di bengala, faremo sorgere e risorgere le energie dei nostri giovani. Da tempo, nel mio poco o niente di artista, ho inteso questa sfida principale e vi ho dedicato energie e tempo, suscitando incomprensioni e vituperio, ma anche incontrando educatori e ragazzi meravigliosi, mettendo in discussione la scuola, i metodi, e inventando ritrovi e iniziative. Vedo che quasi tutti continuano a parlar di giovani parlando solo di scuola, mentre il problema dei giovani è la giovinezza. Di tutto questo la scuola è solo una parte e peraltro spesso sentita ormai dagli stessi giovani tanto ingombrante in termini di tempo quanto vacua e inincidente in termini esistenziali. Mentre la loro vita è “altrove” in un altrove dove spesso giustamente gli adulti non ci sono, ma dove molto spesso la “figura”, la presenza, l’invito – direi il segno di un adulto autorevole – può essere importante, a volte necessario. Forse sarebbe meglio non riaprire queste scuole e aprire un’altra, una completamente nuova scuola. Luoghi di incontro ragazzi-adulti diversi.
La sfida è su questa linea Maginot, altrimenti parlare di ripresa, di nuova rinascita è blaterare a vanvera. Senza la “cazzimma” dei più giovani chi la farà la ripresa? E la faranno accodandosi alla fila di runner che portano cibo o Amazon? Gireranno nuovi schiavi tra case sempre più tristi, chiuse per morbi esteriori e serie televisive interiori? E, finito il giro, si chiuderanno pure loro in case così?
Per questo mi è insopportabile la retorica istituzionale e non-istituzionale, e anche quella anti-istituzionale che non avanza proposte, che non mette in discussione i metodi e l’organizzazione sociale attuale. Infatti l’attuale assetto sociale non prevede quasi più la presenza di luoghi in cui giovani e adulti si incontrano e dove i primi trovano i secondi motivati a tentare e a sostenere i loro tentativi. Non solo luoghi dove adulti con il registro in mano, animati pur da buone intenzioni, “valutano” secondo categorie astruse e inutili i nostri giovani. E mentre le casse pubbliche si dissanguano per sostenere carrozzoni di scuole, garantendo anche in pandemia stipendi a gente stressata e spesso svogliata (vittima ma anche correa del medesimo sistema) tanti luoghi di incontro e educazione – teatri, palestre, oratori, centri sportivi, scuole di musica, di danza, laboratori di arte etc. – boccheggiano.
Occorre riaccendere mille e mille posti così, mille fari, mille porti, mille granai, mille fienili di futuro, mille semplici fontane, anche immettendo un po’ di sano caos in un sistema burocratizzato (ma non per questo meno caotico, ma caotico-terminale, non caotico-germinale). Se no, chiudiamo tutto, per sempre, chiudiamo l’Italia e l’Europa, e giriamo su e giù sui banchi a rotelle e in mano il telecomando o uno smartphone, in una giostra triste e minchiona, da un lato la risata di Joker, dall’altro il viso occhi a mandorla che non ride mai. E se ride, preòccupati.
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