LONDRA — Il destino del Regno Unito si decide oggi in Parlamento. Su Westminster per tutta la giornata saranno puntati i riflettori e quanto accadrà sui banchi parlamentari sarà seguito non solo dal popolo britannico, ma anche dai leader europei, che vorrebbero mettere la parola fine a una lunga vicenda che di certo non giova alla causa europea.
Se il premier Boris Johnson riesce ad ottenere i voti necessari in Parlamento, il suo accordo per la Brexit diventerà legge una volta approvato anche dal Parlamento europeo. E il Regno Unito lascerà l’Unione Europea, che è stata la scelta del 52% dei britannici nel referendum del 2016.
Ma se questo accadrà non lo sappiamo. Il Paese vuole voltare pagina, perché la cosa peggiore è diventata la situazione di limbo in cui ci troviamo ormai da troppo tempo. L’assenza di certezze, la confusione di informazioni, i numerosi dubbi su come prepararsi a qualcosa che potrebbe e non potrebbe succedere fa male ai tanti business della nazione, soprattutto ai piccoli.
L’incertezza ha portato a una riduzione del 20% degli investimenti stranieri nel Regno Unito nei due anni seguiti al referendum. Le stime di crescita dell’economia sono recentemente state tagliate dalla Banca d’Inghilterra sia per quest’anno che per il prossimo.
Ma si preannuncia una seduta complicata per Johnson. Sono in programma alcuni emendamenti per estendere la scadenza della Brexit e per indire un secondo referendum. Ieri il premier britannico si è dedicato a una missione impossibile (o quasi): tirare dalla sua parte il maggior numero possibile di parlamentari, soprattutto i cosiddetti indecisi.
Per vincere oggi, Johnson ha bisogno di assicurarsi una maggioranza di 230 voti favorevoli. Può contare su 287 conservatori che voteranno per l’accordo (su un totale di 639 parlamentari che possono votare). Questo numero include 28 tra i conservatori intransigenti (Erg) che vorrebbero una hard Brexit e che avevano votato contro l’accordo di Theresa May. Si presume che votino per l’accordo, ma non è detto.
Chi di sicuro voterà contro sono i liberal-democratici, i nazionalisti scozzesi dell’Snp e altri piccoli partiti. I voti dei dieci parlamentari del Dup, gli unionisti nordirlandesi, avrebbero assicurato a Johnson la maggioranza. Ma il Dup ha pubblicamente dichiarato di non appoggiare l’accordo che prevede controlli doganali tra la Gran Bretagna e l’Irlanda, con le merci che verranno controllate in Irlanda del Nord.
Persi questi voti, sui quali Johnson inizialmente sperava di contare, il lavoro si è focalizzato su altri due gruppi che potrebbero rivelarsi cruciali: 23 ex membri del partito Conservatore che lo stesso premier ha espulso dal partito lo scorso mese perché si erano ribellati votando una legge per bloccare una Brexit senza accordo. Alcuni di questi parlamentari dovrebbero essere favorevoli a fare una Brexit con accordo e quindi potrebbero votarlo, ma altri hanno fatto sapere che voteranno contro.
Johnson potrebbe avere anche qualche voto Labour. Infatti, se il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, ha dato indicazione al partito di affossare l’accordo, ci sono un pugno di parlamentari laburisti ribelli che potrebbero disobbedire. Sono quelli eletti in zone del paese che hanno avuto un’alta percentuale di voti Leave al referendum.
Oggi il talento politico del premier sarà messo a dura prova: riuscirà a sedurre i parlamentari e a conquistare alla sua causa gli indecisi? E come sarà giudicato dal popolo un eventuale affossamento del “nuovo grande accordo” (parole di Johnson) ad opera del Parlamento? Attenzione, perché Boris Johnson è pronto a trasformare in futura vittoria elettorale una eventuale sconfitta a Westminster.