Un voto cruciale per il futuro del Paese, diviso tra Mosca e Bruxelles (e con Bruxelles, la NATO). In Georgia si sono tenute le attesissime elezioni parlamentari e la commissione elettorale responsabile delle operazioni di voto ha aggiudicato la vittoria al partito attualmente al governo, “Sogno georgiano”, fondato dall’ex premier Bidina Ivanishvili e attualmente guidato dal premier Irakli Kobakhidze. Sogno georgiano ha vinto con il 53,92%, ma i partiti di opposizione, nei quali spicca la personalità della presidente della repubblica Salome Zurabishvili, hanno contestato l’esito del voto, che sarebbe invalidato da frodi russe.
Secondo i sondaggi l’80% della popolazione georgiana è pro-Europa, ma il quadro è complicato dal fatto che Sogno georgiano, fautore di un ingresso condizionato nell’Unione Europea, è aperto anche all’interlocuzione con Mosca. Le opposizioni europeiste sono pronte a scendere in piazza.
Il quadro politico appare estremamente polarizzato dalla guerra in Ucraina, che ha cambiato il confronto pubblico sia in Georgia che in Moldavia, spiega Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo. Mentre però la Russia verso la Georgia sembra ammorbidire la sua posizione negoziale, difficilmente questo avverrà da parte europea.
Professore, è auspicabile una verifica dell’esito del voto o è troppo tardi?
In realtà l’OSCE ha mandato una missione di osservazione elettorale, naturalmente su invito della stessa Georgia. Questo tipo di missione adotta un rapporto che contiene delle raccomandazioni non vincolanti. Direi dunque che sull’esito di queste elezioni non vi è un’incidenza effettiva, sia per la natura di tali raccomandazioni, sia per il fatto che il rapporto viene normalmente emanato a distanza di tempo.
In Paesi ex sovietici come la Moldova e la Georgia la contrapposizione tra partiti filo-occidentali e partiti aperti al dialogo con Mosca o esplicitamente pro-russi ha spaccato le società in due. Cosa si può dire in proposito?
Si tratta di situazioni diverse fra di loro, sulle quali non è possibile svolgere considerazioni unitarie. Mi limiterei a una sola osservazione, che riguarda l’ingerenza esterna in entrambi i casi. Purtroppo si può presumere che analoghe ingerenze siano state effettuate, in forme diverse, sia da parte russa che da parte occidentale. Ora, con una guerra non distante, che vede coinvolte entrambe le parti, si può davvero ritenere che il quadro politico sia in grado di produrre un esito non suscettibile di dar luogo a conflitti gravi all’interno delle società interessate? Ma più ancora: si può escludere che lo stesso “esame” della situazione georgiana – portato avanti, ancora oggi, dall’Assemblea parlamentare della NATO, da quella dell’OSCE, da quella del Consiglio d’Europa e dal Parlamento europeo – sia percepito esso stesso come parte di tali ingerenze?
Il partito al governo Sogno georgiano ha voluto la legge sugli “agenti stranieri”, che ha interrotto il percorso europeo della Georgia. Ma Sogno georgiano non è antieuropeo: intende far parte dell’UE senza rinunciare, innanzitutto, ad alcune istanze culturali identitarie. È una prospettiva possibile?
È noto che la legge sugli “agenti stranieri” ha condotto a un congelamento del processo di adesione all’Unione Europea, com’è stato ricordato anche dal rappresentante del Parlamento europeo alla conferenza odierna di Tbilisi. Polarizzazione del confronto politico, disinformazione, mancata garanzia dei diritti fondamentali e mancato coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni non governative, sono, infatti, i tre punti fondamentali sulla base dei quali l’evoluzione della normativa georgiana non è in linea con gli “steps” previsti per l’adesione all’UE. In queste condizioni non credo sia possibile, fermo restando che bisognerà vedere cosa farà in concreto il nuovo governo georgiano.
Ma i requisiti che l’UE richiede ad un Paese come la Georgia per entrare nell’Unione sono compatibili con la posizione geopolitica di Tbilisi?
Di sicuro non contribuiscono alla coesione politica del Paese, com’è dimostrato proprio da queste elezioni. A ciò si aggiunge la circostanza che la politica estera e di difesa dell’Unione è, oggi, sostanzialmente indistinguibile da quella della NATO. Ripeto: purtroppo tutto avviene nello scenario della guerra in Ucraina. Ma va detto che non è possibile per l’Unione prevedere requisiti ad hoc, com’è dimostrato anche dal caso ucraino.
Da presidente della Commissione, Romano Prodi ha guidato l’allargamento a 10 nuovi Paesi membri nel 2003-2004. “Non abbiamo esportato la democrazia, abbiamo fatto un contratto democratico” ha detto all’Europarlamento ricordando quel negoziato. Oggi le clausole “contrattuali” sono le stesse di allora o sono cambiate?
I criteri di adesione all’Unione restano quelli fissati a Copenhagen nel 1993. Non è possibile qui, naturalmente, ricostruire la storia della concreta applicazione di quei criteri, nei diversi casi di allargamento sinora avvenuti. Ma non c’è dubbio che, sia pure nella cornice generale da essi costituita, ogni caso abbia fatto storia a sé. Ciò che è davvero cambiato, e lo ribadisco perché è un elemento che rischia di sfuggire, è il contesto storico in cui quel processo, oggi, è destinato a inquadrarsi.
In altri termini?
La polarizzazione del voto che ha caratterizzato tanto il caso moldavo quanto quello georgiano si ricollega, drammaticamente, allo scenario di contrapposizione frontale fra Russia e Stati occidentali. Insomma, quelle due polarizzazioni mi sembrano il precipitato di quest’altra polarizzazione principale. Anche se, naturalmente, le controversie con la Russia sono precedenti alla guerra in Ucraina.
Le cito ancora Prodi, perché a margine di una Lecture all’University College di Londra il 24 ottobre ha affermato: “l’Ucraina avrebbe dovuto rimanere uno Stato cuscinetto, ponte tra la Russia e la NATO”. È evidente che il governo di Tbilisi non intende commettere l’errore di Kiev. Qual è il suo scenario?
Io credo che in questo momento sia davvero difficile fare previsioni. Quel che noto, però, è un progressivo ammorbidimento delle posizioni russe, dopo quanto avvenuto in passato col riconoscimento delle Repubbliche dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Dal bastone del controllo militare stretto di quei territori, i russi sembrano passati alla… carota della soluzione politica.
Infatti, Lavrov il 29 settembre scorso ha detto che la Russia è pronta ad aiutare la Georgia a normalizzare le relazioni con la Sud Ossezia e l’Abkhazia. Pare anche che il governo di Tbilisi abbia messo sul tavolo il ritiro delle forze russe da Ossezia e Abkhazia, una ipotesi di confederazione e la Georgia fuori da NATO e UE. Le pare una strada percorribile?
Proprio come le dicevo. Quanto all’ipotesi che lei riporta, mi sembra che sia realistica. Ma tutto corre sul filo del rasoio, per così dire. Se, per esempio, si scatenasse un conflitto interno fra il partito uscito vittorioso dalle urne e le formazioni filo-europee, il quadro potrebbe cambiare, peggiorando anche in questo teatro. Ovviamente non saprei dire quanto sia sostenibile per la Russia aprire un altro fronte bellico in Georgia. Ripeto, è difficilissimo fare previsioni.
(Federico Ferraù)
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