BERLINO – “Chi vuole diventare cancelliere deve saper fare campagna elettorale. Io sono sicuro di avere i nervi per farla”, dichiara Olaf Scholz in un’intervista del documentario di Stephan Lamby intitolato “La via del potere. Germania, l’anno decisivo”. A pochi giorni dalle elezioni del 26 settembre, dopo tre settimane di campagna elettorale e diversi duelli televisivi, una cosa sembra ormai acquisita: il prossimo governo sarà certamente a guida Spd e, a meno di clamorose sorprese dell’ultimo minuto, Olaf Scholz sarà cancelliere.
Tutto il resto è puro dettaglio. Infatti, colui che si sente già premier ha fatto un proclama eclatante: “Prometto ai cittadini che con me come cancelliere il salario minimo sarà aumentato a dodici euro (all’ora, ndr). E garantisco che il livello pensionistico rimarrà stabile e l’età pensionabile non continuerà a salire”, ha esclamato durante il suo ultimo comizio. Sempre in quell’occasione ha dichiarato di voler aumentare lo scaglione superiore delle aliquote fiscali di tre punti e alleggerire i redditi più bassi. Certo, non è la promessa poetica di “prati in fiore” che fece Helmut Kohl ai tempi della riunificazione, ma viviamo tempi miseri, minimali e tirchi anche nel linguaggio, per cui oggi al massimo si promette una mancia. Però dopo lustri di pragmatismo cinico e austero, perfino un’elemosina può far vincere un’elezione.
L’apertura con il contagocce a sinistra, gli spiccioli fatti tintinnare davanti agli occhi dei poveracci marcati stretti dai Linke, hanno fatto venire la pelle d’oca ad Armin Laschet. Dalla piega che hanno preso gli ultimi sondaggi, la coalizione rosso-rossoverde, la temutissima Portogallo, arriverebbe al 48%; a una manciata di voti dalla maggioranza assoluta. E per la prima volta dal 2002 la Cdu sarebbe fuori dal governo. Un bel modo di celebrare l’uscita di scena di Angela Merkel.
“La Germania si trova alla fine di un’era dorata e deve reinventarsi” ha dichiarato il presidente della Deutsche Bank Christian Sewing al Summit economico di Berlino tenutosi a metà settembre. Gli investitori europei guardano alle elezioni tedesche con un misto di angoscia e speranza. I marchi di fabbrica della politica tedesca, la stabilità, la prevedibilità e la loro risultante, l’affidabilità, sembrano vacillare. La rivoluzione verde promessa da Annalena Baerbock chi la dovrebbe finanziare? E la politica finanziaria dalle mani bucate di Olaf Scholz non finirà per incoraggiare i paesi del debito a indebitarsi all’infinito, scardinando così i sacri principi dell’austerity che hanno incoronato l’industria tedesca campione del mondo dell’export?
Incuranti dei lamenti delle élite finanziarie, i candidati dei tre maggiori partiti si danno battaglia sui temi sociali. Il terreno dello scontro lo hanno scelto Scholz e Baerbock, che qui trovano una convergenza che profuma di coalizione, mentre Laschet lo subisce come un castigo divino. Concetti come lavori a basso salario, politica dei sussidi, madri single lavoratrici, badanti, fanno balbettare il candidato della Cdu mentre gli altri due ci vanno a nozze. E così nell’ultimo duello televisivo il povero Armin rimane con il cerino in mano a spiegare perché lui è contrario a una patrimoniale sui redditi alti o a un aumento del salario minimo. La cosa gli riesce malissimo mentre i due futuri alleati si danno di gomito. Eppure, i temi per metterli a disagio ci sarebbero, se solo i giornalisti televisivi facessero le domande giuste.
Ad esempio, come mai gli scandali finanziari, incluso la perquisizione ordinata dai magistrati negli uffici dell’unità antiriciclaggio del ministero delle Finanze appena qualche giorno fa, sembrano rimbalzare addosso a Scholz senza lasciare segno? Un candidato cancelliere può permettersi queste ombre? Per quanto riguarda la Baerbock, basterebbe domandarle come intenda finanziare la sua rivoluzione verde che dovrebbe ristrutturare l’intero sistema economico, per sentirla balbettare. A entrambi poi bisognerebbe chiedere come intendano affrontare le paure d’impoverimento del ceto medio tedesco, con imprese famigliari piegate dalla pandemia sull’orlo del fallimento, pressione fiscale in aumento e timori per le tasse patrimoniali a coprire i buchi nei conti statali lasciati dagli interventi economici anti-pandemia.
In questa campagna elettorale sono scomparsi i temi politici importanti ed è rimasto il chiacchiericcio di tre candidati che sembrano provenire da un mondo lontano anni luce dalla realtà dei cittadini. Non si parla più di pandemia, di malfunzionamento di una democrazia limitata da uno stato di emergenza di cui nessuno annuncia la fine, di immigrazione, dell’impatto reale della rivoluzione digitale sull’occupazione. Nemmeno una mezza parola su come si intenda andare avanti in Europa. Si ha la sensazione che se solo si facessero le domande appena un po’ giuste, i candidati cancellieri farebbero scena muta. Per questo i media amici evitano di scoprire gli altarini. Il loro giochino preferito invece è indovinare il tipo di bandiera che uscirà dalle urne. Portogallo (Spd-Linke-Verdi), Kenia (Cdu-Spd-Verdi), Germania (Spd-Cdu-Fdp), Semaforo (Spd-Verdi-Fdp) o magari Giamaica (Cdu-Verdi-Fdp), con i liberali della Fdp pronti a giocarsi il ruolo di ruota di scorta con i Linke?
Se qualcuno avesse dei dubbi circa la gravità della crisi che le democrazie occidentali stanno attraversando, dovrebbe farsi un giretto da queste parti. L’economia più importante del continente europeo è davanti a trasformazioni epocali, da una parte la rivoluzione verde che vuole bandire ogni forma di energia non green, dall’altra quella digitale, che puntano a un reset totale del sistema economico. Sullo sfondo di questo scenario già abbastanza inquietante, assistiamo all’erosione dei diritti fondamentali sempre più subordinati a politiche sanitarie decise da pochi in modo assolutamente non trasparente. Eppure nessun leader politico sente la necessità di parlare di queste cose e i media si guardano bene dal chiedere, forse per non guastare la quiete prima della tempesta.
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