Termina con una sconfitta elettorale la serie ventennale di governi polacchi guidati dal partito Diritto e Giustizia (PIS), fondato da Lech Kazsyński, il presidente morto in un discusso incidente aereo mentre sorvolava il territorio russo nel 2010. Solo un evento d’importanza locale o il significato e le conseguenze travalicano la Polonia?
Gli assestamenti al di là dell’Oder riservano sempre sorprese. La faglia tra mondo slavo e mondo germanico-latino, che per un cinquantennio ha marcato il confine tra terre del socialismo reale e terre del resto d’Europa di variegato orientamento neoliberale è in continuo movimento. Restando nell’ambito della metafora, la spinta verso Ovest della vasta placca russa non può essere considerata estranea agli attuali eventi.
Anche nel vecchio Occidente le cose si muovono e le incertezze si moltiplicano. Però, alla fine, lo schema è quello di sempre. Destra contro sinistra, orfane dei vecchi riferimenti ideologici, ma pronte ciascuna a mettere per prima il cappello sulle “nuove emergenze”: ecologia, immigrazioni ecc. e a rimescolare ogni tanto le carte su quelle vecchie, come il cinquantennale confronto Israele-Palestina, terzomondismo vs. globalizzazione eccetera. Niente che il buon Gaber non avesse già capito (il culatello è di destra, la mortadella di sinistra).
Dal Centro al Nordest del continente le discriminanti sono altre. Dal punto di vista della contemporaneità politica quest’area appare tuttora un cantiere in costruzione. Paesi che hanno trascorso buona parte del XX secolo non solo sconnessi dal resto d’Europa, ma straziati da una tensione continua tra un Est minaccioso e oppressivo e un Ovest idealizzato al di là di ogni ragionevole realismo e quindi deludente all’atto della verifica, quando il Muro è crollato. Oggi trovare una bussola di orientamento è difficile: la guerra in Ucraina non ha solo agitato vecchi fantasmi, ma anche sollevato dubbi sulla saldezza dei nuovi alleati occidentali. Che a loro volta devono fare i conti con opinioni pubbliche frammentate riguardo i destini della frontiera orientale dell’Europa e l’impegno che la sua tenuta richiede. Il ribaltone polacco è stato anticipato di poco da un altro risultato elettorale sorprendente, di segno però diametralmente opposto: la staffetta slovacca. Di segno contrario a quanto avvenuto in Polonia: all’interno del gruppo di Visegrád il rimescolamento di carte è importante e ci riguarda da vicino, più di quanto ci possiamo immaginare.
È un’altra piccola frattura che si apre al centro dell’Europa e che, per quanto possa essere provvisoria, ridisegna curiosamente la linea che fino al 1918 segnava il limite tra territori della corona d’Austria e territori della corona d’Ungheria. La Slovacchia era parte di quest’ultima, ospita ancora un’importante minoranza ungherese in regioni dove vige il bilinguismo e Bratislava fu capitale del regno per un lungo periodo quando Budapest cadde in mano ai Turchi. La Polonia centromeridionale fu in diverse fasi sotto il dominio austriaco. In particolare la parte meridionale, fascia che va grosso modo da Cracovia a Leopoli e area dell’attuale Ucraina occidentale, austriaca fino al 1919.
In questa parte dell’Europa le frontiere hanno a lungo manifestato una flessibilità, una mobilità di un’intensità sconosciuta nel resto del continente. E la questione del proprio collocamento nel quadro delle relazioni internazionali è rimasta e rimane un tema caldo anche nel dibattito politico interno, un aspetto condizionante anche in occasione delle consultazioni elettorali. L’ingombrante vicinanza della Russia rende l’opinione pubblica locale molto più sensibile a questi temi, soprattutto da quando l’attacco all’Ucraina ha reso più scoperto il rischio di pericoli per l’indipendenza delle democrazie ai confini orientali dell’Unione Europea.
Forse è anche questo il significato della più alta affluenza alle urne in Polonia dai tempi della prima vittoria di Solidarność: un serrare le fila di fronte a una nuova emergenza e, evidentemente, la percezione che la maggioranza finora al potere non fornisse sufficienti garanzie di adeguatezza in queste circostanze. La freddezza con cui la Russia ha accolto la sconfitta del governo nominalmente più aggressivo nei suoi confronti, punta di diamante della Nato sul fronte orientale, è anch’essa curiosa. La lettura può essere che l’evento più temuto dalla Russia sul suo fronte occidentale sia il compattamento dell’Unione Europea, considerato anche più sgradito delle armi della Nato. Per questo compattamento la Polonia di Morawiecki e Kaczyński rappresentava una zeppa ben più importante e strategica dell’Ungheria di Orbán.
La disgregazione dell’Ue era un caposaldo della scommessa di Putin quando nel febbraio del 2022 ha tentato l’annessione dell’Ucraina e per questa disgregazione ha continuato a lavorare costantemente, tramite la diplomazia, la disinformazione e la vasta schiera di amicizie che può contare in Occidente grazie alle sue disponibilità economiche: il cambio della guardia a Varsavia scombina non poco i suoi piani. Sul fronte italico hanno cercato di venderci tutta la vicenda come un derby progressisti-conservatori o addirittura femministe-bacchettoni. Per favore, un po’ di serietà. Nessuno che si sia chiesto come mai in Polonia la “sinistra” risulta semplicemente “non pervenuta”? Non importa quanto Tusk e i suoi alleati ci siano più o meno simpatici. L’Europa oggi ha un problema in meno e la Russia ha un problema in più. Possiamo accontentarci, almeno un po’.
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