Il voto italiano all’estero è sempre stato fonte di problemi che i lettori già conoscono: ma mai come in quest’ultima tornata elettorale si è trasformato in una pagliacciata solenne, che mette seri dubbi non solo sui risultati, ma anche sull’opportunità di proseguire con questo tipo di suffragio.
Sia chiaro: ormai il voto al di fuori dei nostri confini è un diritto costituzionale e come tale andrebbe mantenuto, però devono essere effettuati dei cambiamenti radicali che, a mio avviso, dovrebbero partire dal riconoscimento della cittadinanza italiana.
Il voto è qualcosa di responsabile e importante e non può essere delegato a chi ha ottenuto il nostro passaporto benché la sua italianità risalga a più di cinque generazioni prima e quindi non esista più. Prova ne sia che, specie in America Latina, le code interminabili di supposti connazionali per richiedere la cittadinanza si facciano solo per entrare in possesso di un documento che possa permettere innumerevoli vantaggi economici e pure burocratici (tipo assenza di visto per entrare negli Usa) e sia lontano mille miglia dal desiderio di sentirsi parte di una nazione come la nostra.
Difatti pure questa volta è stato dimostrato, purtroppo, questo fatto dalla quantità ormai industriale di brogli scoperti in questi ultimi mesi e che spesso metterebbero in difficoltà la fantasia di molti di noi. Ultimo quello scoperto in Venezuela, dove la società incaricata dal consolato per la consegna dei plichi elettorali, la “Domesa”, avrebbe consegnato tutte le buste a due individui estranei al corriere postale, che a loro volta avrebbero confermato di essere stati sempre loro a “ricevere e distribuire” il materiale elettorale inviato dal Consolato di Caracas. Questo episodio è venuto alla luce a seguito di segnalazioni precise e circostanziate fatte da diversi cittadini italiani che, non vedendo arrivare la busta, avevano protestato presso “Domesa” che a sua volta li aveva indirizzati ai due individui sospetti. Ovviamente i plichi elettorali venivano consegnati solo a chi si impegnava a votare per alcuni candidati mentre per coloro che non si presentavano (o non reclamavano la busta con le schede elettorali) i due signori avrebbero provveduto a votare e a consegnare il materiale elettorale direttamente in Consolato.
E che dire dei ripetuti inviti fatti da candidati in Argentina agli elettori affinché gli facessero arrivare la scheda, prelevata con un servizio di taxi direttamente al domicilio del votante? O, sempre in Argentina, i gruppi di ragazzini mandati a prelevare le buste contenenti le schede dalle caselle della posta dei vari edifici condominiali per poi portarle negli uffici dei “candidati” di turno? Fino ad arrivare al colmo accaduto, perché scoperto, in Brasile, ma che sicuramente sarà stato replicato in altri Paesi: non conoscendo nulla dell’Italia, gruppi di nostri “connazionali fasulli” che regalavano le schede a chi di dovere.
Un politico democristiano degli anni Sessanta, famoso per il suo italiano (ma molto meglio di quello maccheronico che ci siamo dovuti ascoltare in questi anni da presunti Senatori o Deputati eletti all’estero) arriverebbe a dire che ormai “abbiamo raggiunto il vertice della bassezza”: ma qui si tratta di una problematica che ormai esiste da lustri e che è figlia di un fenomeno che, per fortuna, ha iniziato ad apparire sui media e che ci pone in ridicolo in tutto il mondo.
Sia ben chiaro: tutto questo accade nonostante il grandissimo lavoro delle nostre Autorità consolari per cercare di combattere il fenomeno, che, anche quando scoperto, non ha mai portato a condanne esemplari contro i colpevoli, ma cui, specie nei difficili tempi che stiamo attraversando con la peggior crisi economica e sociale vissuta dalla fine della Seconda guerra mondiale, dobbiamo porre rimedio affinché il voto risulti pienamente trasparente.
Per farlo, oltre a operare sulle modalità di cittadinanza e voto, bisogna innanzitutto far sì che l’Italia e la sua cultura vengano portate a conoscenza delle nostre comunità all’estero allo scopo di rendere edotti i nostri connazionali sulla vita e le iniziative nella loro Madre Patria: tentativi ne sono stati fatti, ma purtroppo senza protrarsi nel tempo anche e specialmente per due motivi. La scarsa collaborazione delle Autorità dei Paesi ospitanti e la sostanziale mancanza di fondi per portarle avanti. Al contrario di altre nazioni che, con flussi notevoli di emigrazione, divulgano non solo lo studio delle lingue, ma anche delle loro culture con manifestazioni che spesso hanno notevole risalto mediatico nei vari Paesi.
Da un po’ di tempo si parla e discute, in Italia, pure di una iniziativa chiamata del “Turismo di ritorno” mirante ad agevolare l’organizzazione di viaggi che permettano ai discendenti di italiani di conoscere e vivere i luoghi da cui provenivano i loro, anche lontani, predecessori. Purtroppo, nonostante molte associazioni di italiani nel mondo tentino di mettere in piedi questo tipo di iniziative, ci si trova quasi sempre con una mancanza di fondi per sostenerle economicamente, cosa che purtroppo produce un danno notevole anche alla volontà di molti non solo di vivere l’Italia, ma pure di stabilircisi, con l’indubbio vantaggio di possedere già in filo generazionale che li lega al nostro Paese.
Ecco come, approfittando del clamore suscitato dal voto truccato, ci si deve decidere non solo a risolvere una volta per tutte il modus operandi elettorale (attraverso un suffragio espresso per via telematica e con posta certificata), ma pure far sì che l’italianità si trasformi non più nel classico trito e ritrito pianto romantico sulla nostra passata emigrazione, ma anche in una formidabile occasione per portare nuova linfa, rappresentata da un’immigrazione di qualità che possa permetterci anche di affrontare i tempi difficili che stiamo attraversando con la speranza di un futuro più roseo.
Certo dobbiamo organizzarci, cosa a noi non tanto gradita, e investire risorse anche notevoli che però ci garantiranno, sicuramente, una crescita invidiabile con un “melting pot” tra discendenti diretti e italici.
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