Arriva in questi giorni nei negozi di dischi, che stanno faticando a sopravvivere anche alla pandemia, una nuova edizione di “Die Meistersinger von Nürnberg” (“I Maestri Cantori di Norimberga”) di Richard Wagner: è la registrazione dal vivo della produzione presentata dai complessi dell’opera di Dresda al Festival di Pasqua di Salisburgo nel 2019 (la registrazione è stata effettuata dal 13 al 22 aprile 2019), una joiut venture con il Bunka Kaikan ed il New National Theatre di Tokyo. Come è prassi, resterà in repertorio per anni nella capitale della Sassonia distesa sull’Elba.



Una produzione di” Die Meistersinger” è sempre un evento specialmente se sul podio c’è Christian Thielemann, uno dei maggiori direttori d’orchestra wagneriani di questi anni. L’opera viene rappresentata raramente in Italia – ne ricordo edizioni a Milano, Firenze, Torino, Trieste e Spoleto negli ultimi tre decenni – perché richiede 17 solisti, una dozzina di comprimari, un doppio coro, un organico orchestrale smisurato. C’è stata anche una produzione del Teatro dell’Opera di Roma, ma è meglio dimenticarla. Era molto attesa l’esecuzione in forma di concerto annunciata per l’inaugurazione della stagione 2020-2021 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; si sarebbe dovuta ascoltare in questi giorni ma è stata una vittima del Covid-19.



Nulla di più errato nel dare un’impronta politica a quella che molti considerano come la più bella commedia in musica mai scritta e composta. La trama è semplice. Nella Norimberga repubblicana delle corporazioni, a cavallo tra Medio Evo ed età moderna, si svolge una gara di canto. L’orafo Pogner ha messo in palio la propria figlia (la diciottenne Eva) che se decide di non impalmare il vincitore deve comunque scegliere come sposo un affiliato alla corporazione dei Maestri Cantori e che ne segua le regole nel cantare. Due quarantenni i principali contendenti: il calzolaio poeta Hans Sachs (vedovo da qualche anno) ed il segretario comunale, nonché occhialuto censore delle arti, Beckmesser. Eva, però, è innamorata, di un cavaliere di Franconia incontrato in chiesa, Walter, il quale la ricambia ma fallisce la prova necessaria per essere ammesso alla corporazione dei Cantori. Sachs comprende l’amore dei giovani, rinuncia ai propri disegni su Eva ed in una lunga notte di imbrogli addestra Walter in modo che sconfigga Beckmesser, vinca la mano di Eva ed abbia sempre presenti i valori della “sacra arte tedesca”. Su questa trama principale, se ne inseriscono secondarie (quale il rapporto carnale tra Davide, apprendista di Sachs e Maddalena, governante di Eva) in una società in transizione da Medio Evo ad età moderna.



Theodor Adorno ha scritto che Die Meistersinger è “la più alta e più piena espressione del genio dell’Occidente”. Pur se storicizzata nella società tedesca alla fine del XV secolo, Die Meistersinger è una grande commedia umana con valenza generale ed a-storica: esalta le libertà civili ed economiche, la tolleranza, l’amore in tutte le sue guise, la lealtà intergenerazionale, la sacralità dell’arte e del pensiero e la continuità dei valori in un periodo di cambiamento. Nelle circa sei ore di spettacolo (intervalli compresi), si ride e ci si commuove e si è trascinati da un flusso continuo diatonico, dove domina il contrappunto ed ha un ruolo determinante la polifonia.

E’ opera che amo profondamente, ne ho una dozzina di edizioni discografiche sui miei scaffali e corro a vederla ed ascoltarla dal vivo quando posso. A Salisburgo non ho visto ed ascoltato quella del Festival di Pasqua 2019 ma quella del Festival Estivo del 2013.

Christian Thielemann, appena sessantenne, è allo zenit della sua carriera. Lo ha dimostrato ancora una volta in questa occasione. Per quanto riguarda Wagner, Thielemann è difficile da battere. Con l’età, i suoi movimenti sono diventati più calmi e concentrati, quasi minimalisti. L’enorme varietà di colori e forme nell’unica commedia in musica di Wagner, grazie alla sua bacchetta, acquista un ritmo affascinante e piacevole, mai al rallentatore, ma senza falsi pathos ed esuberanze. Thielemann è stato allievo di Karajan che lo considerava suo erede. Nel CD trovo echi della produzione diretta da Karajan a Bayreuth nel 1951, di cui conservo un vinile non stereofonico prodotto dalla Seraphin nel 1967. Quello di Thielemann è un Die Meistersinger accurato in tutti i suoi aspetti e pieno di tinte, ma non (forse troppo) cesellato come quello prodotto da Solti alla metà degli anni settanta con i complessi dell’opera di Vienna o leggermente magniloquente come quello realizzato, più o meno nello stesso periodo, da Jochum (con l’allora giovane Placido Domingo al suo debutto come tenore wagneriano) con la Deutschen Oper di Berlino. L’edizione di Jochum è stata considerata per decenni quella di riferimento, anche a ragione dello splendido cast vocale. All’ascolto della sontuosa orchestra di Dresda e del coro della capitale sassone rafforzato con il Bachchor di Salisburgo, si avverte anche la lezione di un’altra grande registrazione dal vivo (purtroppo mono): quella diretta da Joseph Keilberth con i complessi di Monaco nel 1963 e realizzata dalla RCA.

Thielemann non ha, però, un cast vocale all’altezza di quelli di cui disponevano Karajan (Edelman, Hopf, Schwarzkpoft per non citare che i tre ruoli principali- Sachs, Eva e Walther) o Keilberth (Weiner, Waston, Thomas). Georg Zeppenfeld sembra spingere i propri limiti nel ruolo di Sachs, mentre, nella parte di Walther, Klaus Florian Vogt ha un ottimo squillo da tenore eroico ma non tocca il cuore dell’ascoltatore nella canzone che gli fa ottenere la mano di Eva, nel cui ruolo il soprano statunitense Jacquelyn Wagner a volte suona piuttosto tagliente come Eva. Ottimiil canto di Adrian Eröd nel ruolo di Beckmesser e Sebastian Kohlhepp in quello di David. Dal CD (ripeto “dal vivo”) si avverte una recitazione molto spigliata e divertente che venne applaudita nel 2019.

E’ comunque un CD da ascoltare e conservare.