Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti. Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare. Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia. Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.

Tra i libri che un qualsiasi essere umano dovrebbe mettere in conto di leggere, La leggenda del Santo bevitore di Joseph Roth occupa un posto prioritario. Lo scrittore austriaco l’ha scritto nel 1939, ambientandolo a Parigi, quasi anticipando di poche settimane la propria etilica fine. Circa trentanni dopo alcune tracce di quella storia sono riapparse a Londra. Era l’inizio degli anni Settanta e Gavin Bryars, contrabbassista e compositore di musica sperimentale (tendente decisamente al “colto” più che al rock) era in giro per la città britannica, capitale di rock e minigonne, di nuove mode e di gioventù sognatrice. Scopo di Bryars: registrare i rumori della città, le sue melodie, le sue dissonanze per un documentario di un regista della BBC, Alan Power. Da qualche parte nei pressi di Narrow Street a Bryars capitò di registrare la nenia di un homeless, di un anziano senza casa di quelli che dormono sulle rive del Tamigi. Il vecchio cantava: «Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Non mi ha mai tradito/ Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Questo è ciò che so/ Che Lui mi ama».
 
Nel momento di lavorare sulla registrazione della voce del vecchio barbone, Bryars si accorse che era perfettamente accordata con il suo pianoforte: invece che dare a Power il tutto e chiudere lì la partita, iniziò a lavorarci sopra e ne produsse una suite che incorporava il lento canto dell’homeless in un andamento lento e melodico di pianoforte e archi. La suite diventò un disco nel 1972. Fin qui la prima parte della storia.
Dieci anni dopo un cantante californiano in tour in Inghilterra trova in un negozio di dischi l’album di Gavin Bryars, lo ascolta, ne rimane affascinato, contatta il musicista inglese e gli fa i complimenti. Fine della seconda parte.

Trascorrono altri dieci anni e Bryars, in piena transizione dail33 giri al CD si trova a trasportare la suite di Jesus Blood Never Failed Me Yet sul nuovo formato. Quel brano che prima durava 25 minuti poteva ora assumere lunghezze differenti: Bryars lavora di pentagramma e di composizione, aggiunge violoncelli e passaggi minimalisti, parti campionate ed elettroniche, una schiera di ottoni e contrabbassi a contrappuntare l’evolversi della suite. Ma gli si accende anche una lampadina: per la parte finale della sua sinfonia contemporanea in unico movimento vuole un’altra voce che si sovrapponga a quella del barbone di strada. Telefona a San Francisco, riesce con fatica ad accordarsi con il cantante che si era innamorato della sua opera. Il tutto va in porto, il cd vede la luce, è l’anno 1990. Ora la sua durata è di 74 minuti, con molteplici sfaccettature armoniche rispetto alla versione originale e soprattutto con gli ultimi 6 minuti cantati da Tom Waits: era lui il californiano affascinato dal canto del povero vecchio senzacasa. I due insieme, senza essersi mai conosciuti, cantano: «Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Non mi ha mai tradito/ Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Questo è ciò che so/ Che Lui mi ama»

Sembra che il barbone sia morto all’epoca delle prime registrazioni, nei primi anni Settanta, ma la sua voce la si può ascoltare ancora qui, ancora oggi insieme a quella di Tom Waits. Un emozione forte, da ascoltare in silenzio. Qualcosa che esula dalla musica rock. Come pure forse esula dalla letteratura La leggenda del Santo bevitore, uno dei più grandi libri mai scritti sulla forza della Grazia, che riesce laddove il più incallito dei peccatori sigla il suo ennesimo fallimento…