Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti. Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare.
Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia.
Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.

Colpo di batteria e via, chitarre rock, voce rock, andamento da ballata biblica, personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento: Dylan o Cohen? Errore: è Massimo Bubola, cantautore veronese che ha legato gran parte della sua celebrità alla collaborazione con Fabrizio De André.

Tutto è legato è una ballad aspra che si sviluppa tra Oloferne, Abramo, il Golgota e il Crocefisso. Non è una novità per Massimo, che già aveva scritto altre riletture di cose bibliche, tra cui il tradimento di Giuda visto dal punto di vista immobile dell’albero dell’impiccato. Una canzone, quella con un senso immenso di tragedia, simile ad un’altra sua bellissima, Svegliati San Giovanni.

(«Non senti che rumore/ è il diavolo che affila i denti, i denti sul mio cuore/ che getta lo scompiglio sulla mia poca fede/ mi fa tremare i polsi, il sangue nelle vene… / Svegliati San Giovanni, non senti che dolore/ è la Grazia che si allontana, che esce dal mio cuore/che fa tremare i vetri e piangere chi amo/ inacidire il vino e poi marcire il grano»).

Una grande canzone. Ma in Tutto è legato c’è di più, perché c’è Bibbia e c’è destino, c’è salvezza e c’è disegno. In questa canzone, impreziosita da un violino che sa di Scarlet Riviera, c’è un efficacia di ritmo, di tempi serrati, di arrangiamenti nordamericani, che sa di tensione e di vissuto: «E Giuditta andò alla tenda da Oloferne/ disse – Salvami la vita, ti darò Gerusalemme!/ Fu così che disse ad Oloferne/ Poi Giuditta versò il vino ad Oloferne/ quando cadde ubriaco gli tagliò di netto il capo/ tagliò il capo, sì, ad Oloferne».

 

Storie bibliche, Giuditta e Oloferne, Abramo e Isacco, con il padre che «Mise Isacco sull’altare/ma poi l’angelo arrivò ed il braccio gli bloccò/ Fu così che accadde al monte». Che voce e che chitarre, quando Bubola decide di fare le cose come le sa fare, quando Massimo scrive e incide: sono le qualità per cui il Fabrizio genovese l’ha voluto vicino per realizzare l’"Indiano" (il suo disco migliore? Chissà…).

L’ultima immagine e l’ultima strofa sono per il Golgota: «C’era un uomo sulla croce là sul monte/ ed il cielo aprì i suoi occhi e la terra aprì la fronte/ per quell’uomo, sì, là sul monte». Sul calvario la vicenda dell’uomo si decide, ed ecco allora come Bubola racconta la sintesi della storia dell’uomo: «Tutto è legato, tutto è legato/ presente e passato, paradiso e peccato/ Tutto è legato, tutto è legato/ Il sangue è versato, il patto è salvato».

Tutto attorno a questi attori, da sempre: presente e passato, paradiso e peccato, sangue, patto. È una storia che parla il linguaggio della salvezza e della perdizione.
Bubola, che da anni vive in una fattoria in mezzo alla campagna delle colline del Garda, racconta come il Thomas Mann delle storie di Giuseppe, senza saccenza laica e senza affabulazione religiosa. Da laico non confessionale (anzi…), Massimo racconta dal di dentro della storia umana e quando il cielo “apre gli occhi” su quel che accadde sul monte, pare proprio di sentire che il patto è salvato. E con esso anche l’uomo. Perché in fin dei conti tutta la storia è vicenda di un patto tra il Mistero e la Creatura. Di una preferenza. Eterna. «Il sangue è versato, il patto è salvato». Chitarra, basso, cassa. Stop. Fine della registrazione.