Potrà non piacere. Oppure potrà piacere troppo. In un caso o nell’altro Vasco Rossi è un pezzo stabile e ineliminabile della canzone italiana dai primi anni Ottanta in poi. Sul palco di Sanremo con Vita spericolata ha introdotto un nuovo mondo in tivù, nelle classifiche, nel modo di fare e rappresentare l’italica canzone. Ha portato quell’andamento sbronzo e svaccato ch’è del rock di ogni latitudine e che nel mondo italiano – dominato dal cantautorato che per natura è colto o tendente al colto – ha fino a un certo punto avuto poco spazio, se non quello di Rino Gaetano.



Vasco ha scritto (o meglio: ha scritto con massimo Riva) una serie di cose che rimangono negli archivi tra cui Albachiara, Siamo solo noi e – soprattutto – Liberi liberi.
Solita ballatona da romantic-rock (negli Usa l’avrei vista bene nella discografia di Bon Jovi), proposta ai tempi con un videoclip sgangherato in stile messianico-celentanico (Vasco che va a “liberare” una belloccia da una sorta di torre di Babele in cui vive una tribù di gente che veste di iuta e lavora bendata…), la canzone è una riflessione dolente e rabbiosa sul tema che da tempo sta a più a cuore al rockettaro di Zocca: dove finiscono i desideri più radicali? Perché nello scontro o incontro con la realtà tutte le cose sperate-desiderate-cercate, si sporcano, si sgretolano, si polverizzano?



Una canzone di domande, di domande urlate: “Quella voglia, la voglia di vivere/ quella voglia che c’era allora / chissà dov’è?/ chissà dov’è?” E su tutte l’ultima domanda: “Cosa diventò, cosa diventò/ quella voglia che avevi in più/ cosa diventò, cosa diventò/ e come mai non ricordi più…”.
E via, dopo la domandina sulla perdita di memoria, un solo di chitarra da far accapponar la pelle, merito di quel Maurizio Solieri che ha messo la sei corde e i suoi migliori solisti al servizio di tutta la storia rock del primo Vasco Rossi.

 

 



Si cresce. Si invecchia. Si fa piazza pulita. Ma anche senza invecchiare più di tanto, ci si imbatte nei mille sotterfugi con cui tocca vivere la realtà. “E come mai non ricordi più?”.
Mettersi le pantofole, rispondere con mille risposte a metà (donne e uomini, amori e poteri, denari e soddisfazioni miscelate), evitare un affronto radicale, vero, profondo, autentico. Il trionfo borghese è sempre stato uno spauracchio per il Vasco. E non importa come abbia poi  “reagito” luia questo trionfo, ch’è poi la sconfitta del desiderio giovane.
Rimangonole due domande: liberi da cosa e smemori perchè?