Nel 1972 Tim Hart aveva ventiquattro anni. Era figlio del reverendo Canon Dennis Hart, vicario di St. Saviour, nei pressi di Lincoln. Di quattro anni più vecchio di lui, Bob Johnson, buon chitarrista folk, era figlio di una musicista londinese, maestra di canto e pianoforte. Entrambi, Tim e Bob, prima di trovarsi insieme in una delle band più luminose del folk britannico, avevano avuto in comune la conoscenza – per “colpa” dei genitori – di laudi e canti sacri poi persi per la strada.

Giovanissimo, ma già ben chiaro nelle sue idee sul futuro, Hart aveva fondato gli Steeley Span alla fine del 1969, con il bassista Ashley Hutchings e la cantante Maddy Prior, un contralto di notevole estensione vocale. La band aveva già inciso tre album tra il ’70 e il ’72, in un periodo fecondo per la musica folk-pop inglese, giorni in cui il successo di Fairport Convention, Strawbs, Albion county band, Lindisfarne e Renaissance aveva trascinato musicisti e giovani alla riscoperta dei patrimoni artistici medievali.

Dopo tre dischi gli Span si erano ritagliati un proprio perimetro di stima e appassionati, anche se il gruppo aveva una geometria variabile; fu proprio per una serie di entrate e uscite dalla formazione originale, che Johnson – nella primavera del ’72, – si ritrovò nell’organico.
Nell’estate di quell’anno gli Steeleye Span entrano in studio per registrare il loro quarto album, al Sound Techniques di Londra.

Programmaticamente doveva essere ad altissima densità di ispirazioni antiche, prova ne sarà la presenza di gighe ottocentesche, della famosissima e ancestrale John Barleycorn, della melodia settecentesca scozzese King Henry e di Royal Forrester, i cui versi risalgono a una raccolta poetica del 1293. In un ricordo misto di gioventù “e di cose per caso ascoltate in un pub di Cambridge”, Johnson propone per il disco anche una laude religiosa, Gaudete. La accenna ai compagni di avventure e Hart la riconosce subito: suo padre, il reverendo, gliela aveva fatta conoscere negli anni dell’infanzia.
Il testo diceva:

Gaudete, gaudete!
Christus est natus
Ex Maria virgine:
Gaudete!

La band scava nelle origini di questo canto e scopre che la sua prima trascrizione deriva dal Piæ Cantiones ecclesiasticae et scholasticae veterum episcoporum, una raccolta di laudi e canti sacri datata 1582, assemblata da uno studente cattolico finlandese, Theodiricus Petri. Molto più antica del libro stesso, Gaudete si basava probabilmente sulla canzone Ezechielis Porta, rintracciabile in epoca medievale in Boemia. Alle prese con il loro quarto cd, Below the salt, la band inglese decide di incidere Gaudete per sole voci, senza alcun aggiunta strumentale, evitando accuratamente qualsiasi sovraincisione, anche grazie alla richiesta di Jerry Boyrd, produttore che spinge i cinque Steeley Span a offrirne una versione “pura”, senza sovrastrutture o abbellimenti.

Riascoltandola oggi, si coglie ancora – come allora – lo spirito della scoperta, dell’incisione rispettosa, della forza evocativa che il gruppo ha fortemente cercato di esprimere. Pare un coro conventuale, invece è una band che sgomitava con il rock duro per guadagnare un posto al sole nel cuore dei fans.

Il disco, il 33 giri, esce nel dicembre del ’72, subito seguito dall’uscita del ’45 giri. Le radio britanniche, che in quegli anni stanno metabolizzando la fine dei Beatles e l’avanzata di Led Zeppelin, Bowie e Deep Purple, si trovano a trasmettere proprio nel periodo natalizio un 45 giri decisamente… liturgico, con le cinque voci di Tim Hart, Maddy Prior, Bob Johnson, Rick Kemp e Peter Knight che cantanto Christus es natus, con quell’inflessione inglese che trasforma il latino di “gaudete” in un anglofonico “gaude-i-te-i”.

In quell’inverno del ’72 la canzone superò quota 500.000 copie e il disco si piazzò ai vertici delle classifiche inglesi, insieme a Elton John e David Bowie. Era Natale. Come oggi.
Gaudete!