Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti. Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare.
Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia. Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.
Era il 1974. Le autorità sovietiche avevano deciso di arrestare Aleksandr Solgenitsyn. L’autore di Arcipelago Gulag si era visto assegnare il premio Nobel per la letteratura, ma non aveva mai potuto ritirarlo, vivendo in un limbo pericoloso di scrittore sopportato e non gradito dal Cremino anche se la Una Giornata di Ivan Denisovic era stata salutata, nel 1962 da Nikita Krushev, come un libro che «tutti dovrebbero leggere per stanare il demone stalinista che c’è in ognuno di noi».
Finito l’uso strumentale del romanzo il potere sovietico non aveva saputo più che farne di Solgenitsyn, che nel frattempo aveva prodotto altre e ben più drammatiche fotografie del comunismo russo. Nel 1974, dopo anni di restrizioni della libertà personale, Brescnev decise di far arrestare lo scrittore per farlo condurre in Germania, a Francoforte. Era l’espulsione.
Nel 1974 la musica pop-rock ignorava (in massima parte) il nome di Solgenitsyn. Era troppo presa dietro ad altre cose: il successo dei Pink Floyd, la carriera solista di John Lennon, l’esordio fulminante di Bruce Spingsteen, la costruzione dei propri miti e del dopo-Hendrix, dopo-Jim Morrison, dopo-Woodstock.
In Inghilterra, intanto, c’era una band chiamata Renaissance. Era lontana anni luce dagli stili della musica rock. Fondata da chi già aveva militato negli Yardbirds (la band da cui sono emersi – tra gli altri – Clapton e Jimmi Page), venuta fuori da un informe continente fatto di musica classica e folk britannico, la formazione negli anni aveva abbracciato forme sempre più pure di musicalità rinascimentale. Si abbeverava a Rimsky Korsakov e Chopin, componeva lunghissime suite ispirate a personaggi della mitologia e delle fiabe (Scheherazade è un brano di 27 minuti, Ashes are burning raggiunge – nella sua forma compiuta – i 22 minuti), spesso e volentieri portava alle estreme conseguenze le ipotesi artistiche espresse dalla feconda famiglia dei musicisti folk britannici (gli altri nomi: Fairport Convention, Strawbs, Pentagle, Steeleye Span, Amazing Blondel…) arrivando (caso quasi unico) a escludere completamente la chitarra elettrica dalla propria produzione artistica.
Nel 1974 i Renaissance entrano in studio per incidere il loro quinto album, “Turn of the cards”. I fatti i Solgenitsyn sono di quei giorni. Jon Camp, John Tout e Annie Haslam (una cantante dalle doti vocali rarissime con cinque ottave di estensione) scrivono un pezzo, Mother Russia, dedicato completamente allo scrittore russo: «Nei giorni del gelo, egli pensa a te, Freddo come il ghiaccio, egli brucia per te, Uomo solitario, egli pensa a te».
Ha un incedere classico, con pianoforte e violini, con fiati fisici e possenti nella classica tradizione romantica russa. Tout ha letto Una Giornata di Ivan Denisovic e la riporta in musica: «Egli costruisce mattoni». Si sente il vento gelido che spira sull’orchestra mentre la voce di Annie Haslam ricama il grido di sofferenza: «Madre Russia, non senti che lui geme per te?». Dall’Inghilterra musicale (spesso supponente e autoreferenziale) arriva questa canzone per ricordare il grande esule, il grande scrittore che è voce della Russia che soffre, che gela e spera: una sorpresa allora, per chi sentì Turn of the cards, una sorpresa ancora oggi, per chi la ascolta per la prima volta.
Aleksandr si rifugerà in Vermont dal 1976 al 1994, anno del suo ritorno a Mosca, dove si spegnerà il 3 agosto 2008. «Punito per aver scritto i propri pensieri. Sangue rosso, neve bianca. Lui sa che i fiumi ghiacciati non scorrono. Così freddo, così vero. Madre Russia lui piange per te».
I Renaissance si sono sostanzialmente sciolti nell’83. Ancora oggi Mother Russia è considerato uno dei pezzi forti del loro repertorio. Canzone indimenticabile, da ascoltare soprattutto in quel “Live at the Carnegie Hall” (1976) che divenne ed è uno dei capolavori di quel genere spesso dimenticato che è il folk-progressive britannico.