Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti.
Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare.
Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia. Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.
Charlie Parker è stato uno dei grandi della musica del ‘900. Bird era il suo soprannome. Al pari di Duke Ellington, John Coltrane, Count Basie e Miles Davis ha lasciato segni indelebili ovunque, se è vero che proprio l’influenza di Parker e Coltrane su Jimi Hendrix, Frank Zappa e Duane Allman ha fatto si che il rock facesse passi da gigante sulla sua strada, altrimenti molto più prevedibile.
Charlie se n’è andato nel ’55. In quell’anno a Vienna un ventitreenne di origine zingara aveva appena terminato il conservatorio, il suo nome era Josef Erich Zawinul. Sopravvissuto con la sua famiglia alla caduta del Reich e all’ingresso di russi e americani nella vecchia città asburgica (avrà da raccontare più tardi di essere sopravvissuto a eccidi, a sparatorie nel cortile di casa, ad esecuzioni che hanno toccato anche la sua famiglia, fino ad arrivare a dire: «sono cresciuto con la morte vicinissima, per questo non mi ha mai fatto paura») questo giovane pianista inizia a collaborare con varie orchestre, suona per la tivù di stato, incide in ensemble che lavorano su colonne sonore cinematografiche.
Poi nel 1959 emigra a va a studiare alla Berklee School of Music, ma dopo pochi mesi di frequenza i suoi docenti gli consigliano di cambiare aria: «vai a suonare nei locali, qui non hai nulla da imparare».
Josef esce dalle scuole, inizia a suonare con vari musicisti, nel 1961 approda alla corte di Cannonball Adderley. Da lì la sua carriera è un trionfo, che approda alla collaborazione con Miles Davis per uno dei dischi fondamentali della storia del ‘900 (non rock o jazz o jazz-rock: fondamentali e basta): “Bitches Brew”, uscito nel giugno 1970, la più colossale parata di stelle jazz mai immaginata, come se Beatles e Stones e Dylan si fossero messi insieme, come se Bach, Mozart e Beethoven avessero a un certo punto collaborato.
Pochi anni dopo nascono i Weather Report, creati da Joe (nel frattempo Zawinul aveva americanizzato il suo nome) con Wayne Shorter. E qui arriviamo al punto. Nel 1977 i Weather producono il loro capolavoro, “Heavy Weather” e Zawinul compie la magia, in memoria di Charlie “bird” Parker: crea un pezzo magico, dall’andamento ricchissimo e rutilante, un perfetto compendio di ritmo, composizione, compattezza d’ensemble, cromatismi, varietà di influenze. Il nome di questo pezzo è – of corse – Birdland, in onore del locale jazz sulla 52nd in cui Parker si esibiva regolarmente tra il 1949 e il 1955 e in cui anche Zawinul, giovane jazzista, si esibì tra il 1963 e il ’65.
Birdland è un pezzo in memoriam di quel locale perché, l’anno era il ’65, il Birdland fu costretto a chiudere, perché era tempo della hippy generation e la gente affollava più i locali folk del Greenvich Village per ascoltare Dave Van Ronk e Joan Baez. Nel ’77, quando Birdland era un bel pezzo di passato per la New York musicale, Zawinul creà la meraviglia del suo ricordo, la consegnà agli amanti della musica, facendone terreno di ripresa per le mille versioni dei Manhattan Transfer, Michael Brecker, Al Jarreau, Quincy Jones.
Son trascorsi gli anni. Birdland – il club – ha riaperto i battenti nell’’86, all’angolo tra Broadway e la 105th, ma a metà degli anni ’90 è riuscito a tornare nella sua vecchia location e ora si presenta agli appassionati con il titolo “The jazz corner of the world”.
Intanto Zawinul ha aperto il “suo” Birdland, un locale allo Stadtpark di Vienna dove negli anni sono passati in tanti, da John Mayall con il suo fardello blues all’estremismo jazz di John Zorn.
Intanto il buon Josef Zawinul si è spento, stroncato da un raro tumore alla pelle. Lui che non aveva paura della morte ha lasciato qualcosa che sopravvivverà anche al suo locale preferito.