Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti. Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare.
Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia.
Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.

Sacro o profano? Amore di donna o amore infinito? Purezza o perdizione, santità o paganesimo? Di che si tratta quando si ascolta un disco di Vinicio Capossela? Enigma impossibile da sciogliere! Facitore di suoni notturni e di cammini etnici, di leggende contemporanee e di balli ancestrali, Vinicio quando nel 2006 scrive e incide Ovunque proteggi (la canzone, non il disco omonimo) è considerato già uno dei pochi veri innovatori della produzione musicale tricolore. Partito vicino ai lidi di Paolo Conte (il suo esordio, All’una e trentacinque circa è stupendo ed è molto vicino alle idee musicali dell’astigiano: swing, big band, fumo e ammiccamenti, vita notturna negli anni Trent’anni, Casablanca, Broadway e Buenos Aires, con quel ritornello che snocciola nomi di bevande notturne), Capossela s’è costruito il suo stupendo percorso negli anni, avvicinandosi alle tradizioni mitteleuropee ed ebraiche, scuoiando il jazz dai suoi vestiboli e ricostruendolo come ritmo-scheletro su cui modellare ogni abito musicale. Così quando s’ingegna nella scrittura di questa canzone si può ben dire che anche per Capossela, nelle mille avventure del suo viaggio musicale, a un certo punto è giunto il momento del riposo, della preghiera.
Già, perché nei mille viaggi di chi cerca – non importa se sia ricerca di canzoni, persone, fatti, luoghi, riposi, pacificazioni, pienezze, rivoluzioni o tradimenti – prima o poi giunge il luogo e il momento della preghiera:

“Mi spiace se ho peccato
mi spiace se ho sbagliato
Se non ci sono stato
se non sono tornato
Ma ovunque proteggi la grazia del mio cuore
adesso e per quando tornerà il tempo
Il tempo per partire
il tempo di restare
il tempo di lasciare
il tempo di abbracciare”.

Nel pianoforte caldo con cui Vinicio s’accompagna tenero e intenso in questo racconto di vita e di vita vissuta, c’è un universo di pace, di dolcezza, di ritorno a casa, di figliol prodigo. Scarpe consumate, percorsi nel sole e nel freddo, cose che non bastano (“il troppo è per poco/ e non basta ancora”), ricchezze e povertà che passano, lutti e amori che spingono.
È la confessione del viaggiatore, dell’uomo.
Una canzone che si sente con orecchie appassionate, che spinge dal cervello al cuore il senso del riposo e che finisce in una richiesta, dolcissima, di protezione:

“Ovunque proteggi la grazia del mio cuore
Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore
Ovunque proteggi, proteggimi nel male
Ovunque proteggi la grazie del tuo cuore”.

Veramente rara questa forza. Veramente rara questa semplicità. Ovunque. Grazia. Cuore. Parole da ricordare.