Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti.
Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare. Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia.
Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.



E la vita cosa è mai? La vita è l’arte dell’incontro. L’ha detto un poeta brasiliano, Vinicius de Moraes. In Italia l’ha ricordato un cantautore dimenticato, Sergio Endrigo.
Dimenticato da tanti, giunto sempre “un po’ prima” oppure “un attimo dopo”, Endrigo è entrato alla svelta nella terra dell’oblio. Scambiato per “popolarone” (quello squadrone di cantanti forti tra Sanremo e le spiagge adriatiche, in grado di riempire i juke box e le classifiche di Lelio Luttazzi, un elenco infinito di nomi che comprende Orietta Berti e Nico Fidenco, Robertino e Riccardo del Turco) quando tale non era per nulla, Endrigo è stato costretto a lungo tempo a navigare nell’oceano degli autori leggerini, serio quanto basta per scrivere canzoni per bambini (L’arca di Noe).
Maledetta distinzione in categorie, che trasforma un musicista di sensibilità particolare, dotato di interessi verso le musiche di tutto il mondo (era un ricercatore etnico antelitteram, prima che ci arrivassero i De Andrè e i Paul Simon), in una macchietta radiofonica. Nel 1969 Endrigo realizza un disco che – diciamocelo francamente – in tutto il resto del mondo sarebbe considerato una pietra miliare. A partire dal titolo, “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, per proseguire dai partner con cui l’ha realizzato – Giuseppe Ungaretti e Vinicius de Moraes – e, per finire, per la presenza di alcuni recitati (l’Ungaretti di Oh cos’è in me e il Vinicius dell’amarissimo Il giorno della creazione: “Oggi è sabato, domani è domenica. Come fa presto il tempo a passare…/ troppo buono, nostro Signor Gesù Cristo/ Nel dubbio, Signore, liberaci dal male”) e di alcune canzoni senza tempo. Una di queste è la traduzione italiana di Samba de bencao di Vinicius de Moraes e Baden Powell: “E`melhor ser alegre que ser triste / A alegria è a melhor coisa que existe / E` assim como luz no coração / Mas pra fazer un samba com beleza / E` preciso um bocado de tristeza / Preciso um bocado de tristeza. / Senão não se faz um samba não”. Il samba non può essere solo allegrezza, si dice, perché “se vuoi dare a un samba la bellezza/ hai bisogno di un poco di tristezza/ se no, non è bello un samba, no”.
Il samba, come la vita, è misto di tutto,perché “Se no, è come amare una donna solo bella/ una donna deve avere qualche cosa in più della bellezza”. E’ un samba lunghissimo, cantato in italiano da Vinicius e suonato da Endrigo e Toquinho e da Luis Bacalov al pianoforte (il musicista e arrangiatore che molti ricordano come autore di musiche da film e del celebre Concerto grosso dei New Trolls).
Il Brasile e la poesia e come se qui raggiungessero un punto di semplice e splendida profondità: Prendi tutti quelli che vanno in giro e scherzano con la vita. Attento, amico! La vita è una cosa seria e non ti sbagliare, eh? Ce n’è una sola! Due, che sarebbe meglio, nessuno mi convincerà che ci sono senza provarmelo con prove definitive, cioé: certificato rilasciato dal Notaio del Cielo e sottoscritto: Dio (e con la firma autenticata). La vita, amico, è l`arte dell`incontro, malgrado ci siano tanti disaccordi nella vita.
Che definizione, per la vita intera. Fosse anche solo per questo titolo, dovremmo ricordarci per sempre di mister Endrigo!



(Walter Gatti)

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