Mi sono chiesto spesso da dove vengono le canzoni di Renato Zero: da un ragionamento, da un sentimento, da un’emozione, da una certezza?

Lui – all’anagrafe Renato Fiacchini – ha iniziato a frequentare palcoscenici di periferia, teatrini scalcinati e balere già a metà degli anni Sessanta, giovanissimo (aveva poco più di quindici anni) si travestiva provocatoriamente per il pubblico e mostrava già un senso innato per la melodia. Ma quel che conta è che già nei suoi primi anni artistici soffia forte nelle sue canzoni quell’impressionante coraggio del figlio di borgata che canta di povertà, sesso e triangoli, ma sempre guardando al cielo (“Quanti amori conquistano il cielo/ perle d’oro nell’immensità/ qualcuna cadrà/ qualcuna invece il tempo vincerà/ finché avrà abbastanza stelle/i l cielo/ …Ma che uomo sei, se non hai il cielo”).



È una poetica semplice, istintiva, quella di Zero e delle sue oltre 500 (gulp!) canzoni: siamo fatti per la felicità, per altro dalla mediocrità, non per le strade sporche di borgata, non per gli amori casuali, non per le droghe distruttive e per le mode passeggere.

Ottimismo da borgata? Un po’ di cultura da superuomo? Forse sì, ma che importa: in fin dei conti a una canzone e a un cantante non si chiede nessuna profezia, nessun foglio di buona condotta, ma solo di lanciare nell’etere spunti e provocazioni artisticamente decenti e umanamente illuminanti. Quando nel 2005 (a quarantanni esatti dal suo esordio da attore-ragazzino di teatro di periferia) Zero riesce a scrivere una canzone come La vita è un dono, ancora una volta la domanda da dove vengano mai tutte le grandi cose che Renato riesce a cantare, ancora mi si riaccende.



Piacerà o non piacerà lo Zero in questione (come qualcuno forse sa, io non sono un suo fans: il mio cuore batte per il rock sudista…), ma quando la canzone attacca e la prima strofa recita:

“Nessuno viene al mondo per sua scelta/ non è questione di buona volontà/ Non per meriti si nasce e non per colpa/ non è un peccato che poi si sconterà/ Combatte ognuno come ne è capace/ Chi cerca nel suo cuore non si sbaglia”, insomma, di fronte a certe affermazioni uno è portato ad ascoltare con attenzione.

Borgataro, chansonnier, attor tragi-comico, guitto del travestimento, Renato non è nuovo a questi contenuti, ma dove vengono queste cose nell’universo musicale e poetico del signor Renato Zero? È una coscienza non omologata? Un certo legame con la sua educazione cristiana? Un certo senso della dignità e del rispetto per le persone, soprattutto le meno “integrate” (le sue canzoni piene di pietà per i tossici, per gli omosessuali prima che questi diventassero un gruppo con forte potere d’acquisto, per le ragazze madri, per i bambini non-nati causa aborto…), quelle che cercano e non si sentono già “arrivate” da qualche parte? Cosa lo porta a cantare:



La vita è un dono legato a un respiro
Dovrebbe ringraziare chi si sente vivo.

Bella canzone e belle parole. Un caso, ci si chiederà? Per niente, perché Renato prosegue:

Il bene che colpisce come il male
persino quello che fa più soffrire
E’ un dono che si deve accettare
Condividere poi restituire.

 

Nell’incertezza sull’origine delle cose (bellissime) cantate dal musicista più ambiguo, bizzarro e forse sottovalutato della canzone italiana, lasciamoci sulle parole con cui va a chiudere questo La vita è un dono:

La vita è un dono legato a un respiro
Dovrebbe ringraziare chi si sente vivo
Ogni emozione, ogni cosa è grazia.

Uno che mi dice che “ogni cosa è grazia” in un modo o nell’altro è da ascoltare con attenzione. E occhio, sempre, ai pregiudizi…