Gli Inti-Illimani girano ancora il mondo, con il loro tour Historico, portando in giro la storia del loro Paese, il Cile, con le sue lotte e i suoi sapori. L’1 Agosto saranno a Milano sul palco di LatinoAmericando 2010. Walter Gatti dedica una puntata della sua rubrica a uno dei brani più famosi e sentiti del gruppo, El pueblo unido jamas sarà vencido.
Primissimi anni Settanta, in Cile le sinistre vincono le elezioni. Per chi non c’era, un po’ di storia: il Vietnam era stata per tutto il decennio degli anni Sessanta la tomba delle aspirazioni americane in estremo oriente; erano anni di guerra fredda, di confronto Usa-Urss, di contestazioni violente un po’ ovunque.
L’America latina era terra di povertà, di missioni e di poteri semi-dittatoriali spesso sovvenzionati da Washington, con presidenti e generali ogni tanto sul libro paga della Cia, con gli agenti del Kgb a far da guastatori. Nell’insieme un bell’esempio di come le due superpotenze si spartivano il mondo.
Nel 1970 Salvador Allende, medico sessantaduenne, presenta una lista delle sinistre unite alle elezioni. E vince, con il 36% dei voti. Sogno di quei giorni era il movimento de La Unidad Popular, che mirava alla creazione di un Cile diverso in cui socialità, populismo, poteri economici e marxismo potessero andare a braccetto.
Sergio Ortega, leader di una formazione musicale di Santiago, i Quilapayun, scrive una canzone destinata a diventare un inno rivoluzionario in mezzo mondo, El pueblo unido jamas sarà vencido, nata come canto di sostegno a quei giorni di speranza comunista.
Il popolo unito non sarà mai vinto!
In piedi, cantiamo, che trionferemo,
avanzano le bandiere dell’unità
e tu verrai a marciare al mio fianco
così vedrai il tuo canto e la tua bandiera fiorire.
La luce di un’alba rossa
annuncia ormai la vita che verrà.
Passano pochi mesi e la situazione degenera: Allende nazionalizza miniere e trasporti, inimicandosi ancor di più la borghesia e i proprietari cileni, mentre le sinistre si armano ovunque e si preparano a metter ragione a chi vi si oppone. Scontato: gli Usa non possono accettare che nel bel mezzo dell’America Latina ci sia un governo che inizia a dialogare in modo nemmeno troppo velato con Mosca (con cui Allende aveva contatti diretti), destabilizzando come e forse più di Cuba un’area importante per materie prime e per scacchiere internazionale.
In stretto contatto con i consiglieri americani il generale Pinochet (fino a pochi mesi prima fedelissimo del presidente) l’11 settembre con un sanguinoso colpo di stato prende il potere, eliminando gran parte del mondo politico, culturale e artistico del Paese, fortemente legato all’esperienza marxista. Allende muore nell’attacco al palazzo presidenziale, decine di migliaia di persone vengono arrestate e rinchiuse nello stadio di Santiago; a migliaia spariscono dopo detenzioni più o meno lunghe e torture.
Da quel giorno El pueblo unido jamas sera vencido diventa l’inno della ribellione popolare, della reazione violenta al sopruso, della battaglia partigiana di fronte al potere, in Cile come in tutti i Paesi in cui “qualcosa” di proletario e socialista fermentava tra le strade i circoli operai.
Un gruppo fortemente radicato nelle tradizioni etnico-andine, gli Inti Illimani, ne incide una versione che riesce a fare il giro del mondo. Meno grezzi dei Quilapayun, più abituati alla musica professionale, i sei elementi della band guidata da Horacio Duran e Jorge Coulon, trasformano la canzone da piazza di Ortega in una bandiera, in una parola d’ordine, nel canto che surclassa l’Internazionale dai momenti di lotta di classe:
E ora il popolo che si alza nella lotta
con voce di gigante grida: avanti!
Il popolo unito non sarà mai vinto!
Gli Inti Illimani, come tanti altri cileni, scappano dal loro paese e vagano in mezzo mondo, trovando in Italia casa e un terreno fertile dal punto di vista umano, politico e culturale: si insediano vicino a Roma e diventano ospiti fissi di tutti festival dell’Unità, di ogni manifestazione universitaria o teatrale “alternativa”. I loro suoni di chitarre e charangos diventano un suono noto in tutta Italia, in un fenomeno che non ha paragone neppure nella pur politicizzatissima Francia.
In piedi, cantiamo, che il popolo trionferà.
Milioni ora impongono la verità;
Sono di acciaio, ardente battaglione, le loro mani portano la giustizia e la ragione.
Donna, con fuoco e valore, tu sei qui insieme al lavoratore.
E ora il popolo che si alza nella lotta, con voce di gigante grida: avanti!
Il popolo unito non sarà mai vinto!
Il Cile e Milano, Parigi e Roma: milioni di giovani uniti dietro la stessa bandiera, a calpestare le stesse strade e le stesse piazze cantando “milioni ora impongono la verità”, portando “giustizia e ragione”. Che sogno, che utopia, che incubo, in questa canzone, unico grande inno rivoluzionario del Novecento, capace di attecchire ovunque, di esprimere con inusitata semplicità un desiderio ardente di appartenenza, quella ad un “Popolo unito” capace di non essere mai vinto.
In Cile è tornata la democrazia, mentre gli Inti Illimani, ormai divisi in due tronconi (i membri del gruppo non hanno trovato concordia dopo tanti anni) continuano i loro tour, forse con meno politica e con maggiore attenzione all’aspetto etnico-musicale della loro proposta. Tempo fa ho visto uno special televisivo dedicato all’America Latina. Vi si raccontava delle riduciones, dell’esperienza in Paraguay di Padre Aldo Trento.
C’era anche una finestra sul Cile: intervenivano giovani di Santiago e raccontavano che anche lì si può ricominciare: “non ci interessa guardare il passato, vogliamo costruire sull’oggi, senza vendette”. Parole dette da giovani in un paese che ha vissuto giorni di sangue tremendo e che ha finito di vivere in dittatura da soli due decenni. Forse il “popolo unito” ricomincia da qui, da una speranza reale che può farti dire “costruire sull’oggi, senza vendette”.