La prima canzone popolare italiana l’ha scritta un santo: Alfonso Maria de’ Liguori, il cui nome appariva nel calendario di pochissimi giorni fa, il primo agosto. Figlio di nobili napoletani, d’intelligenza fuori dal comune (nato a Napoli nel 1696, si laurea in legge a 16 anni e ottiene una dispensa speciale per esercitare l’avvocatura nonostante l’età adolescenziale) Alfonso diviene prete a ventisette anni, scrive trattati teologici e morali, ma – forte della sua napoletanità – si dedica anche alle canzoni popolari, in napoletano e in italiano.

In lui il senso del ritmo e della parola vanno di pari passo con la necessità “educativa” della canzone. Riportava nel 1933 Oreste Gregorio nel suo Canzoniere Alfonsiano: “Nelle memorie del Tannoia, l’uomo che visse al fianco del Santo per oltre un quarantennio, si narra che Alfonso si ritirava sovente, con altri sacerdoti e amici in una casa di campagna: In questo luogo solitario e divoto ritiravansi tutti ogni mese e trattenevansi uniti tre e quattro giorni in esercizi di penitenza, in lunghe meditazioni ed in conferenze di spirito.

La mensa era parchissima. Presiedeva capotavola una bellissima statuetta di Gesù Bambino ed ognuno facevagli i suoi fioretti… Terminata la tavola, se la divertivano qualche tempo in cantare dolci inni e canzoni, ed indi ripigliavansi di nuovo le sante meditazioni”.

La stessa cosa Alfonso, poco più che trentenne, lo faceva con i lavoratori di Campania e Puglia e con i trovatelli napoletani, “Sono cantici religiosi, composti con lo scopo di sostituire le canzoni licenziose in uso durante i lavori dei campi, e utilizzate durante le missioni predicate da S. Alfonso e dai suoi compagni”.

 

Tra queste, appunto, la prima canzone italiana, Tu scendi dalle stelle: per la prima volta nel 1769 una canzone nata “localmente” veniva stampata e diffusa in tutta Italia, edita prima a Napoli e poi a Venezia nel volume Canzoncine Spirituali dell’Ill.mo e Rev.mo Monsignor Don Alfonso de Liguori.

Tu scendi dalle stelle
O Re del cielo,
E vieni in una grotta al freddo e al gelo
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato !
Ah, quanto ti costò l’avermi amato!

Negli anni questo canto ha goduto di alti e bassi nella considerazione colta e popolare. Benedetto Croce la considerava poca cosa, pur definendo Sant’Alfonso “il molto simpatico santo napoletano”, mentre negli anni Cinquanta Roberto de Simone (il più noto etnomusicologo italiano) gli rifiutava assolutamente la paternità della melodia, lasciando ad Alfonso (diventato santo nel 1839) solo il pregio delle parole; diversamente da loro Salvatore di Giacomo, uno dei massimi autori della canzone napoletana, la considerava il miglior prodotto tra quelle che lui aveva definito “il mio libro di preghiere”, cioè le canzoni di Sant’Alfonso.

Senza nulla togliere a Croce e a de Simone, giù il cappello di fronte alla frase del grande di Giacomo, indimenticabile autore di Marechiaro. Alfonso scriveva canzoni ch’erano preghiere. E che cantavano affezione, dolcezza, tenerezza: per questo il Bimbetto che nasce è un eletto pargoletto e la sua povertà non può far altro che innamorarci…

 

 

A te che sei del mondo
il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m’innamora,
Giacchè ti fece amor povero ancora

Alcuni anni fa Ambrogio Sparagna, ricercatore, musicista e laico appassionato di canti sacri, ha creato dal nulla dischi e spettacoli (alcuni con Servillo e Mesolella, voce e chitarra degli Avion Travel) dedicati ai canti natalizi, tra zampogne e organetti. Bellissimo risentire Tu scendi dalle stelle nella sua interpretazione.

Dimenticavo: Sant’Alfonso è il patrono dei confessori. Che ci sia un nesso tra canzone e confessione? E anche tra canzone e assoluzione?