MICHEAL JACKSON – BEAT IT – Come già detto tempo fa, non ho mai amato Michael Jackson. Non mi ha mai emozionato. Questione di gusti e di età, forse. Ma questo non vuol dire che io sia totalmente miope (solo un poco…), visto che serve poca lungimiranza per vedere quanto “Thriller” sia un prodotto epocale, un disco in cui Michael (allora 24enne) con il contributo fondamentale di Quincy Jones (musicista e produttore che ha avuto nel successo di Jackson la stessa funzione e lo stesso peso che George Martin ha avuto nella storia dei Beatles) ha costruito un nuovo eccezionale ponte tra i generi musicali del suo tempo.

Tanto per iniziare è pressoché impossibile definirlo, situarlo, posizionarlo e questo indica sempre un disco importante: è rhythm’n’blues, ma ha dentro tanto di quel rock da renderlo appetibile per il pubblico bianco; è funky, ma è così tanto pop da piacere anche alle ragazzine; è soul, ma con una propulsione così disco-music da essere ballato ancora oggi nelle discoteche.

Ed è suonato da un team di musicisti destinati a passare alla storia, se si pensa che tutta la sessione ritmica è quella dei Toto (i fratelli Porcaro e la chitarra di Lukather) con l’aggiunta delle tastiere di uno dei musicisti più corteggiati dal mercato, quel Gregg Phillinganes che poi si legherà a lungo alla bluesband di Eric Clapton.

In "Thriller" ci sono pezzi da altissima classifica (la titletrack e Billy Jean), ma per i miei gusti c’è soprattutto un pezzo rivoluzionario, Beat it, l’unica cosa che mi aveva interessato di questo disco quando era appena uscito, un vero pezzo rock costruito sullo scheletro di una soul-song di impianto classico, una canzone che anche Marvin Gaye avrebbe potuto cantare (magari con l’aggiunta di violini e sax tenori).

L’aspetto musicale, però, è solo una parte del segreto di questo pezzo, che rivela se stesso nel suo voler dire “no” a un identità di vita vissuta per bande, per scontri, per terreni occupati da team rivali:

Loro gli hanno detto
Non venire mai qui intorno
Non vogliamo vedere la tua faccia
Fai meglio a sparire
Il fuoco è nei loro occhi
E le parole sono tremendamente chiare
Perciò sparisci, semplicemente sparisci
Faresti meglio a correre a fare quello che puoi
Non vogliamo vedere il sangue
Non fare il macho
Non fare il duro
Sparisci, sparisci, sparisci

Un testo che invita a non entrare nella rissa sociale e giovanile, un video che si ispira alle vicende di "West Side Story", una canzone che esplode nel break di un a-solo chitarristico di un giovanissimo Eddie Van Halen, entrato giustamente nella leggenda: difficile non applaudire.

Jackson in questo pezzo non aveva ancora trasformato la sua identità: era un nero che costruiva ponti verso tutti i generi musicali con cui entrava in contatto, un ragazzo che esprimeva la sua diversità e non omologazione verso quella cultura dei giovani neri che si costruiva soprattutto in termini di antagonismo, di differenza, di scontro: in questo senso Michael esprimeva già una differenza sostanziale verso tutti gli esponenti (futuri) del gangsta rap che si esprimeranno in termini di ghetto, di lotta, di “attitude”:

Stai giocando con la tua vita
Non è un gioco d’azzardo
Ti prenderanno a calci
Ti picchieranno
Poi diranno che è giusto così
Per cui sparisci
Sparisci
Sparisci

Nato e cresciuto nell’Indiana in una famiglia sicuramente complessa, Michael ha espresso in "Thriller" il momento perfetto della sua visione musicale. Poi, nei dischi successivi, ha continuato a produrre successo multimilionari ("Bad", "Dangerous"), ma la verve ha forse iniziato a languire.

Che oggi, dopo la sua scomparsa, ci sia un suo disco in testa alle classifiche dice pochissimo della sua musica, ma tantissimo (come sempre) ai conti in banca di gente sparsa per il pianeta Terra. Gente che non ha seguito il consiglio dei "Beat it".