Non si può dire che il rock abbia dato in terra tedesca tantissimi frutti. In diverse stagioni ha creato fenomeni chiamati Scorpions o Tangerine Dream, Einsturzende neubauten e Kraftwerk a dimostrazione (come per l’Italia del resto) che non mancano le intuizioni e la qualità, bensì la continuità e il ricambio in un mondo artistico e musicale che è totalmente “preda” della produzione anglo-americana. In un certo periodo (approssimativamente nei decenni ’70-’80) i musicisti tedeschi hanno dato vita a una doppia corrente musicale: il “Kraut Rock” (pianeta sconfinato che comprendeva band come i Can e gli Amon Duul) e la “Kosmische Musik” (qui si andava dai Tangerine dream agli Ash ra Tempel). Unico punto di contatto: l’esser fatto da musicisti tedeschi e avere una certa predisposizione per la musica elettronica e progressive, preferibilmente colta e dalle radici culturalmente non superficiali.

In questo scenario una band che ha sempre attratto in modo particolare i miei interessi è stata quella dei Popol Vuh, formazione “kosmische” a geometria variabile creata e modificata sulle intuizioni del suo leader, il pianista Florian Fricke. È del ’70 il loro primo disco, Affenstunde, inizio di un percorso che li porterà a produrre dischi importanti, tra cui le migliori colonne sonore per i film di Werner Herzog (tra cui l’indimenticabile Nosferatu) e a confrontarsi con progetti musicali e culturali specialissimi.

Nel 1973 Fricke, pianista con tanto di diploma a Friburgo nonché persona di grande sensibilità religiosa, costruisce un disco, Seligpreisung, totalmente dedicato alle Beatitudini, un disco sorprendente allora (in epoca di piena proclamazione di laicità culturale in quanto affermazione d’arte non succube), che suona magnifico e profondissimo ancora oggi. Prendendo a prestito dal vangelo di Matteo le diverse beatitudini per titolare e sviluppare i vari pezzi di un discorso armonico, Fricke e compagni usano i primi sintetizzatori e clarinetti, chitarre elettriche filtrate e armonium per riproporre l’attualità del discorso della montagna: così il disco si apre con i sei minuti di Selig sind die, die da hungern (Siano beati quelli che hanno fame e sete della giustizia), prosegue con la strumentale Tanz der Chassidim per poi aprirsi in Selig sind, die Sanftmütigen Ja, sie werden einst die Erde erben (Beati i miti, perché avranno in eredità la terra).

Otto brani, in totale, per un disco di rarissimo fascino e di misticismo convincente: Seligpreisung alterna composizioni pianistiche ad arrangiamenti etnici dove le tabla e la voce del soprano coreano Djong Yun celebrano un modo insolito di pensare e fare musica. Ma attenzione: si potrebbe immaginare un prodotto noioso, cerebrale o forse troppo etereo. Nulla di vero. Le chitarre elettriche di Daniel Fichelscher e Conny Veit raccontano visioni rock elegantissime che denunciano chiare radici folk e orientaleggianti. Interessante notare che non ci sono altri testi oltre al Vangelo di Matteo, parole che dovrebbero “spiegare” (e cosa, poi, ci sarebbe da spiegare…), introduzioni o commenti finali. Fricke aveva una religiosità profonda e sincretica e fedele ai testi sacri, come già dimostrato nel precedente e famosissimo disco Hosianna mantra (1972) e come farà sempre anche dopo, in particolare in Agape (1983).

Alternando questi brandelli di rock-mistico, colonne sonore, scritti musicali e incisioni da Mozart (Florian Fricke Plays Mozart,1992), Fricke è diventato un musicista di culto nell’ambiente tedesco, ben oltre e ben al di fuori dall’onda rock. È morto nel 2001 per un infarto.

L’accoppiata Fricke-Seligpreisung è una di quelle da riscoprire, per questo nostro tempo di scarse sperimentazioni sonore e umane. Come, del resto, sarebbe da riscoprire anche il testo da cui tutto è partito e l’uomo che l’ha pronunciato.