JOVANOTTI – ORA – KEBRILLAH – Anche le gelide cifre dicono che Jovanotti ha un suo posto specifico nel mondo della canzone italiana: vent’anni di attività e diciotto album in dispensa. Il suo lavoro più recente, Ora, è una raccoltona di canzoni e ritmi vari e disparati, cantati sempre con quella voce tra il gaio e lo stonato, che da tempo ha vita a sé nell’ambiente della nostra musica.
In effetti non si può dire che in un tempo di vocal coach (ma questa definizione demenziale non potevamo evitarcela?) e di ragazzine dall’impianto canoro memorabile, Jovanotti ci faccia una grande figura dal punto di vista stilistico. In compenso, e qui sta il bello, pochissimi di quelli che attualmente scrivono canzoni sanno scrivere testi come i suoi. La differenza, però, non è nello stile o nella metrica: la differenza sta in quel che si cerca, in quel che si vive ed esprime e qui Jovanotti dà dei punti a molti, noncurante di un passato di tribù che ballavano e di “gimme five”.
In questo ultimo album, Jovanotti continua nel suo universo un po’ celentanesco di world music e valori importanti, di divertimento e maturità, infilandoci tra le altre cose, almeno due canzoni decisamente forti. La prima è Sul lungomare del mondo, un bel reggae soft, morbido e vellutato, che raccontando del ritmo delle luci sul lungomare, confessa che “Non mi han convinto i pessimisti no/ Non mi han convinto i disonesti no/ Non son persuaso dai persuasori no”, per finire in un senso di ultima ragionevolezza: “Dov’è finito il mio stupore oh?/ Cosa s’impara dal dolore non so/Ma credo ancora/ Che tutto un senso ha”.
Da tempo il Jovanotti ci ha abituato a parlare a cuore aperto senza la retorica della rabbia o della società che non migliora per colpa di qualcuno. Jovanotti non fa parte di questo sentire. In effetti pochi sono in grado di guardare dentro e fuori di sé ed ammettere che “tutto un senso ha”. Lui, il quaranticinquenne Lorenzo Cherubini, lo fa con candore inammissibile.
Una sincerità che diviene ancor più interessante in quello che mister Jovanotti racconta nel pezzo più ricco di quest’ultimo suo disco: Kebrillah, titolo che gioca arebeggiando sulla luccicanza del proprio io. La canzone cita ritmi dance, riflette cose degli U2, dei Black Eyed Peas e di Howie B, e intona con melodia stranamente salda raccontando frammenti di storia del genere umano. Ma è storia di un uomo cosciente, questa, di un uomo che sa che “sulla mia spina dorsale è appoggiato un cielo intero”; un uomo che rivolgendosi a un “tu” più o meno identificato gli dichiara di sapere quale è il segreto della propria instancabile vitalità: “hai messo un diamante dentro al mio cuore/ che brilla che brilla quando lo espongo al sole/ e hai messo una bomba dentro al mio cuore/ che è sempre innescata che è pronta per scoppiare”.
Ho nel cuore un’esplosione, mi porto appresso un gran tesoro, sembra dire l’ex giovinastro delle discoteche. Cos’è questa bomba? Perché ne sento il ticchettio? Che è questo diamante? Chi l’ha messo là dentro? A quale scopo? È utile e conveniente scoprirne il luccichio? Sapremo sopportarne i riflessi? Il brano intero, inascoltabile per gli amanti delle ballate folk o rock, si sviluppa tra definizioni della vita intesa come “una festa per la quale non serve l’invito” e mille assonanze e classiche associazioni (creatività-fantasia, uomo-donna, tigri-leoni), ma Jovanotti serve anche qui, come nella canzone del lungomare, un finale a sorpresa: la vita è lotta e fatica (“mi hai messo in mano una spada senza insegnarmi le mosse/ mi hai messo in guardia dal nemico senza dirmi chi fosse/ mi hai messo dentro una scuola e hai detto adesso impara”), ma non è solitudine immotivata e rabbiosa, perché “è tutto in ordine è tutto in ordine”.
Ma dove vuole andare a parare l’ex deejay, il ragazzo del “siamo o non siamo un bel movimento”? Perché questa necessità di esprimere senso laddove sembra utile e provocante solo dar voce alla percezione di non-senso? Perché parlare di “ordine”, magari davanti ai tristi giorni di un pianeta che non sa come rimarginare le sue ferite? Domande che si inseguono, ma che confermano una certezza: questo autore della nostra canzone non segue le parole d’ordine di una cultura risaputa, ma vive un percorso personale di autenticità, fatto di percezione grande della vita.
Pur non amandolo in modo particolare devo confessare che Jovanotti ha dato alla musica leggera italiana tante canzoni che hanno un senso. E tra queste, Kebrillah si è ritagliata un posto importante, figlia di una cultura e di un senso del vivere che raramente si percepisce nella musica che gira intorno. Così disattenta alle luci. Così avara nello scoprire diamanti.